Il 29 ottobre scorso la Spagna è stata scossa da una tragedia immane: un alluvione che ha spazzato via le vite di 226 persone (e di 13 dispersi) e distrutto case, negozi, macchine, e i sogni di chi è stato costretto a guardare impotente la furia di una natura sempre più avvelenata dagli esseri umani. O per meglio dire, dall’assoluta minoranza degli esseri umani.
Ma oltre al discorso sul cambiamento climatico, sempre più ignorato e lasciato ai margini, questa deve essere un’occasione per riflettere su una decisione politica. Una decisione che ha mostrato tutta la sua vulnerabilità e inefficacia in questo massacro. Una decisione che sta arrivando anche in Italia.
La Spagna ha sofferto lo stivale di una dittatura fascista fino al 1975. Francisco Franco costrinse tutta la Spagna a diventare Castiglia, un centralismo talmente forzato e imposto che neanche i Borbone prima di lui si erano spinti a tanto. L’odio e la discriminazione verso coloro che non parlavano castigliano e verso le loro culture assunse una violenza che adesso è difficile immaginare passeggiando per le affollate e luminose strade di Barcellona o Bilbao. Quando finalmente il dittatore morì, la popolazioni represse ormai avevano inevitabilmente associato all’idea di stato, alla bandiera di Spagna, lo stivale dell’oppressore e non credevano più ad una Madrid che potesse essere loro amica, o nemmeno loro connazionale. Le bombe dell’ETA risuonarono ancora più forte dopo Franco. Tutto ciò portò ad una reazione dell’Assemblea Costituente drastica, assoluta e, purtroppo, eccessiva. Formata da 7 Padri Costituenti, di cui uno direttamente esponente delle minoranze basche e catalane e un altro del PCE (Partito Comunista Spagnolo) legato profondamente alla Catalogna (tanto che nel 1989 si unirà al PSC, partito socialista catalano), pone come priorità assoluta dello Stato il riconoscimento, la protezione e il diritto all’autonomia delle regioni dello Stato, che per sottolineare il concetto vengono chiamate “Comunità Autonome” (Art. 2-3 della Costituzione Spagnola).
Il successivo Articolo 143 tratta la legislazione delle Comunità, dichiarando la formulazione dei loro rispettivi Statuti e l’autogoverno. Autogoverno che comprenderà una lista di competenze (22 di preciso), ma con la possibilità di ampliamento a piacimento tramite le riforme dei propri Statuti, garantendo allo Stato solo le funzioni elencate nell’articolo 149 (32).
In seguito, nei vari governi spagnoli che si sono succeduti, i partiti regionali hanno sempre avuto un notevole peso, sbilanciato rispetto ai loro elettori, specialmente per fare da ago della bilancia tra maggioranze di destra e di sinistra e garantire la stabilità dei governi (per raggiungere la maggioranza assoluta, e quindi formare governi stabili, i partiti di massa di destra e sinistra hanno spesso dovuto fare affidamento ai piccoli partiti indipendentisti, che quindi fungevano da ago della bilancia e garanti della stabilità governativa perché se ritiravano la fiducia cadeva il governo). Stabilità che non viene garantita gratuitamente, ma pretendendo il mantenimento, se non il rafforzamento, del fortissimo regionalismo spagnolo. Sino ad arrivare al tentativo di secessione della Catalogna nel 2017 e all’attuale governo Sanchez III, che si regge su una sottilissima maggioranza garantita solo dalla forzata alleanza coi partiti indipendentisti baschi e catalani.
Ad oggi le comunità autonome hanno un’assemblea legislativa indipendente, sono rappresentate da 58 senatori (su 266), e hanno un organo esecutivo rappresentato da un presidente e un consiglio di governo. Controllano materie critiche come infrastrutture, educazione, sanità, ordine pubblico e parte del potere giudiziario tramite tribunali regionali.
E perché questo dovrebbe essere un problema? La decentralizzazione dei poteri dovrebbe essere efficace per riconoscere e colpire problemi locali con misure specifiche, che il lontano governo centrale difficilmente potrebbe notare e contrastare con la rapidità ed efficacia adatte. Il problema nasce quando questo processo, reso così radicale dalla storia di Spagna, è in mano ad una classe politica incapace di gestirlo.
Torniamo all’alluvione, alle case inondate, ai sogni spezzati. Ai morti.
Il 29 ottobre, già alle 7:36, l'AEMET, l’agenzia metereologica nazionale spagnola segnala l’allerta rossa per la regione di Valencia, ma quando l’alluvione, intorno alle 11:00, inizia ad abbattersi sui comuni di Utiel e Requena, facendo esondare il Rio Magro e spostandosi gradualmente dall’interiore verso la costa nessun cittadino aveva ricevuto alcun avviso dalle autorità della Comunità Autonoma, responsabile di diffondere l’allarme. Persino l’esondazione del bacino idrologico di Forata, ultima difesa dall’acqua dei comuni costieri, avvenuta verso le 19:00, non venne considerata sufficiente per lanciare l’allarme, e solo alle 20:12, quando ormai le inondazioni avevano raggiunto la costa, densamente abitata, il presidente della Comunitat Valenciana, Carlos Mazòn (PP), diramò l’allarme tramite messaggio d’emergenza sui cellulari dei cittadini.
Questo ritardo nell’avviso, purtroppo è stato solo il preludio del ritardo generale dell’intervento dello Stato (inteso sia come organo centrale che regionale). Infatti la Comunità Autonoma dichiara l’alluvione come emergenza di livello 2, quindi di sua competenza, con possibile aiuto del governo centrale, ma decidendo di tenerlo da parte. Mentre, da Madrid, il premier Sanchez (PSOE), decide di non aumentare il livello di allarme e perciò non assumere nelle sue mani, che rappresenterebbero quelle di tutta Spagna, la responsabilità di coordinare gli aiuti. Il fatto che lo Stato centrale si tenga, e venga tenuto, da parte impedisce la centralizzazione delle risorse di sua competenza: le forze armate, le risorse di altre regioni e le migliaia di volontari che da altre regioni arrivano nella Comunitat Valenciana.
Questa mancata coordinazione di aiuti e risorse ha creato gravissimi problemi nelle manovre di salvataggio, portando alla scarsità di mezzi e specialisti accorsi nei luoghi del disastro, che poterono raggiungere alcune località rimaste isolate solamente 72 ore dopo l’alluvione, quando era ormai praticamente disperata la ricerca di superstiti. Per giorni alcuni comuni sono rimasti senza acqua potabile, elettricità o connessione ad Internet e migliaia di sfollati senza rifugio dopo aver perso le loro case.
Un ritardo imperdonabile, motivato principalmente dalla paura di assumersi la responsabilità della propria debolezza e inadeguatezza da parte della Comunità Autonoma e di assumersi la difficoltà di coordinare gli aiuti di tutta Spagna da parte del governo centrale. Paura di fare brutta figura e perdere elettori, figlia di una situazione particolare: il governo centrale in mano al Partito Socialista e Operaio Spagnolo (centro-sinistra) e la Comunità Autonoma governata dal Partito Popolare (centro-destra), in un sistema partitico a strettissima competizione, con pochi punti percentuali a spostare l’ago della bilancia. Situazione che riempie di vuote accuse politiche un momento che sarebbe dovuto essere nel segno della solidarietà e del lutto nazionale.
Ora, l’Italia è il paese a più alto rischio idrogeologico di Europa, e una legge, fortemente voluta da questo governo e passata in Camera dei Deputati, autorizza le Regioni a richiedere al governo di amministrare 23 nuove materie, dalla sicurezza del lavoro all'istruzione, dal commercio estero all'energia, fino ai trasporti e alla valorizzazione dei beni culturali. E la protezione civile. Spostando l’ordinamento spaventosamente vicino alla situazione spagnola, in cui le emergenze e disastri naturali vengono usati a scopo politico, lasciando i cittadini da soli. In mezzo al fango.