Per molto tempo si è creduto che le foto potessero catturare l’anima delle persone e dei luoghi immortalati. Nel suo ultimo album, uscito il 5 gennaio, Bad Bunny si trova nella posizione di un uomo ormai adulto, che si rende conto che, proprio di quelle foto, non ne ha scattate abbastanza. Quello che può fare è usare la memoria e la musica per cercare di tracciare un ritratto più nitido possibile delle atmosfere e delle emozioni che si respiravano nel suo paese, il Portorico, diventato inaspettatamente troppo diverso da quello che l’artista ha vissuto negli anni della sua crescita. La stessa cosa avviene a livello musicale. Infatti, definire questo un disco Reggaetón solo perché è un lavoro di bad Bunny risulta estremamente riduttivo; la musica è un fondamento imprescindibile della cultura portoricana e sudamericana in generale, e quello che Bad Bunny ha cercato di fare è stato riportarne alla luce le radici e le esigenze che ne hanno permesso la nascita. Un’operazione di puro affetto e gratitudine, che restituisce a un genere proprio quell’anima che anni di commercializzazione sfrenata gli avevano tolto quasi completamente. In Debí Tirar Más Fotos, Bad Bunny compie un viaggio emozionale e ritmico, spaziando dall’antenato diretto del Reggaetón, il genere Dancehall, in tracce come Perfumito Nuevo e El Clúb, per poi proporre la Rumba di Pitorro de Coco, fino ad arrivare alla title track, che porta al grande pubblico, con una vitalità quasi immediata sui social, il ritmo caratteristico della musica folk portoricana, la Plena. I sintetizzatori eterei che ricorrono in varie occasioni offrono un respiro molto più ampio rispetto a ciò che stava diventando mera musica da discoteca plasticata, mentre le coinvolgenti parti corali in tracce come DTMF e La Mudanza portano in primo piano la condivisione alla base della musica ispano-americana, le conversazioni infinite tra amici e familiari sulle iconiche sedie di plastica della copertina, la fusione delle proprie emozioni, belle o brutte che siano, con quelle altrui, attraverso il ballo e il canto, per poterne gioire insieme o aiutarsi a vicenda a superarle. A questi momenti si alternano anche stralci di grande intimità come in Turista e Bokete, e anche brani Reggaetón più classici. Le criticità dell’album sono veramente poche, e si potrebbero ridurre a testi che in alcune tracce cadono nel banale rispetto alla profondità di quello che vi sta attorno e una ripetitività, anche se minima, forse dovuta alla lunghezza della tracklist. A parte questo, Debí Tirar Más Fotos ne esce come un album che è sì versatile e perfettamente rivolto al grande pubblico, ma che non considera quest’ultimo una massa indefinita da imboccare con contenuti che siano il più neutri possibile; si crea uno scambio con l’artista, che consegna alle persone uno spaccato importante della sua vita, e da loro anche la possibilità di poter scoprire culture, musicali e non, con cui magari non sarebbero mai venute a contatto, almeno non con questa autenticità.
Davvero avere tutto ti rende felice? Spesso diventa un marchio che ti renderà diverso da tutti gli altri, e ne dovrai pagare le conseguenze. Febo, rampollo di una famiglia altolocata, ne è cosciente da fin troppo tempo. Sulle note della satirica "Super Rich Kids" ripercorre la sua vita apparentemente perfetta, ma infinitamente infelice nell’Isola di Ischia.
Too many bottles of that wine we can't pronounce
Febo è salito in terrazza mentre tutti dormono.
Vuole godersi la solitudine vera, senza il resto della famiglia che gli rinfacci la sua nullafacenza.
È seduto su una sdraio, l'Airpod nell'orecchio sinistro ripete all'infinito delle canzoni di Frank Ocean.
Il piano di Febo è prendere una boccata d'aria, darsi una calmata e andare a letto quando avrà sonno.
Calmarsi equivale a prendere le sue pillole, più le usa e più aumenta la dose che gli fa effetto. Nonostante il dottore gli abbia detto di non superare le tre dosi giornaliere, Febo estrae dalla tasca la quarta pasticca. L'ha rubata a sua madre, lei non se ne accorgerà, nasconde a Papone una quantità industriale di Xanax dentro l’armadio.
La pillola ha bisogno di qualcosa per venir mandata giù.
L'acqua sarebbe ideale, ma Febo preferisce altro. Ritiene che sia una notte da alcol: ovvio,
non ha una sera da sobrio dalle medie o una giornata da sobrio in generale. Per Febo, la mattina non comincia con il sorgere del sole, ma con la Ichnusa delle otto.
Ai suoi occhi il tramonto non significa niente, è il Jack Daniel's delle sette a definire la sera.
Una bottiglia giace sulla sua pancia, l'ha scovata in fondo alla cantina della villa. È del vino francese, buonissimo, però Febo non è riuscito a leggerne il nome. Prima ha dato un' occhiata all'etichetta e, vedendo un nome con più di sei lettere e troppe vocali, ha rinunciato a scoprirlo. Tra lui e il francese non scorre buon sangue. Durante quella famosa vacanza-studio in Costa Azzurra non è riuscito a scoprire la differenza fra imparfait e conditionnel, nel consumare fino all'osso un' American Express fino all’osso. Pieno di sensi di colpa, ha speso un patrimonio in crêpes. Papone ha usato la sua bocciatura all'esame
DELF come ennesimo motivo per denigrarlo, gli piace rinfacciargli la sua inefficienza. Alla tua età ero in collegio a Tolosa e parlavo un francese da Jean-Paul Sartre. Quelle uscite del padre lo fanno sentire impotente, come non ha il diritto di controbatterle, non ha il diritto di sfotterle.
Too many bowls of that green, no lucky charms
Lo sguardo di Febo coglie qualcosa d’interessante:
Carlo, responsabile fratello maggiore, ha scordato una ciotola da riso piena di marijuana sulla ringhiera della terrazza.
La gente che lo stima non se lo aspetta, però anche Carlo ha bisogno di un aiuto per mantenere il controllo.
Febo, affaticato, si mette in piedi. Afferra la ciotola, la rovescia lasciando cadere quei tocchi verdi sugli scogli.
"Ben ti sta, coglione" Borbotta con un sorrisetto soddisfatto. I fratelli Barcellona sono cresciuti e vaccinati, ma rimangono dispettosi quanto dei bambini. Ieri, Carlo è piombato in camera di Febo per chiedergli lo shampoo e ha incassato un vaffanculo senza complimenti. Casualmente, Febo non trova più la stecca di Terea.
Carlo è il preferito sia di Papone che di Mamma, scontato. Lui può farsi le canne sotto ai loro occhi rimanendo un ragazzo d'oro, invece Febo è il figlio che ha preso poche botte da piccolo se si permette di pronunciare la parola "cazzo" a diciott'anni.
Carlo è stato molto bravo a conquistare successi superficiali, facoltosi socialmente. "Eh, Carlo è un genietto"
Fa l'università pubblica volontariamente, che cosa rara per uno del suo ceto!
Studia giurisprudenza alla Sapienza, sta scrivendo la tesi tipo sul diritto romano. Febo non capisce quelle cose perché ha fatto lo scientifico. Carlo è considerato tanto bello quanto intelligente da quando è dimagrito miracolosamente in quarta ginnasio, il miracolo si chiama bypass gastrico. Quella sofferenza ha dato il via al suo successo con le donne, portarsi a letto delle ragazze gli ha fatto raggiungere l'apice del narcisismo.
Bellissimo, acculturato, estroverso e amichevole... Ma non inganna suo fratello.
Il citazionismo costante di Carlo non è gran cultura, bensì l'incapacità di costruire un proprio pensiero critico.
Le battute da taglienti non sono carisma, bensì forzare un' apparenza disinvolta davanti alle sue insicurezze.
Il fascino di Carlo è dovuto alla palestra, le diete terrificanti, le pulizie del viso e infiniti step di skincare, esagerati perfino secondo una Sephora Kid.
Febo conosce benissimo questo retroscena, quindi crede di avere il permesso di giudicarlo e segretamente di disprezzarlo, ma Carlo non ha colpa di aver superato il periodo di bullismo e di essersi pienamente integrato nella società.
Magari Febo fosse un po' più indifferente e molto meno sensibile.
The Maids come around too much
Febo avverte di soprassalto il rumore della serratura , ma i suoi riflessi si sono indeboliti: è bloccato lì in terrazza, gli manca la forza di lamentarsi. Per non farsi beccare dai genitori in piena sbornia, gli resta la possibilità di svegliarsi la mattina presto: difficile.
"Grazie Guenda!"
Borbotta, non è chiaro se il suo commento sia dovuto alla stanchezza o al nervosismo.
Mannaggia a lei, la fine del mondo non le impedirebbe di chiudere il terrazzo prima di andare a letto.
Fobia dei ladri.
La fame ha condotto Guenda in Italia dall'Eritrea, fortunatamente i Barcellona sono stati ben disposti a metterle pane sotto i denti. Era il millenovecentonovantasette.
"Da piccolina come te mantenevo i miei fratelli" Cantilena sempre, nel frattempo è solita a sistemare la camera di Febo in disordine mentre lui gioca a God Of War.
Guenda, pur di non perdere il posto, fa qualunque cosa per i Barcellona.
Cameriera, donna delle pulizie, tata. Il termine “schiava” non sarebbe un’esagerazione.
Sia Papone che Mamma, che Febo che Carlo, usano una specifica esclamazione quando c'è qualcosa da risolvere: "Guenda!"
A loro non interessa se sia stanca, di cattivo umore o impegnata, danno per scontato che stia lì a servirli...Questo è il minimo sindacale per millecinquecento euro mensili, no?
In tutto questo, ovviamente, Guenda è la semplificazione del suo nome effettivo. Troppo faticoso imparare quello vero.
Febo ne ha discusso recentemente.
Guenda stava in videochiamata con dei parenti, lui sentiva grida e risate da selvaggi, poi ha riconosciuto un suono simile a "Guenda".
"Mamma, quindi Guenda non si chiama Guenda?"
A sua madre è caduto il giornale dalle mani, dopo un lungo sbuffo si è tolta gli occhiali da vista e gli ha risposto: "Buongiorno!".
Febo ci riflette sopra, e infatti è strano che non abbia mai ipotizzato che quello potesse essere un diminutivo: come mai?
A lui non importa di quella donna, la donna che lo ha cresciuto al posto dei suoi genitori.
È un' affermazione che non ammetterà mai, visto che il classismo mischiato al razzismo non è da Voto il Partito Democratico.
"Guenda non suona molto tigrino, vero..." Febo ha l'intenzione di aprire il vino e puntualmente realizza di essere salito in terrazza senza un cavatappi. Ha faticato per sgattaiolare in terrazza e imbucarsi nella cantina di nascosto, certamente non scenderà giù per prendere un cavatappi e beccarsi due ceffoni da Papone.
"Guenda! Guenda!" Grida lamentoso, poi si accorge che a porte chiuse e a tre piani di distanza Guenda non può sentirlo.
Deve sbrigarsela da solo.
"E ora come faccio?" Emette un piccolo suono acuto di disperazione. Febo sa risolvere le equazioni differenziali bendato, però per lui è un mistero stappare del vino. Lo stesso vale per accendere un fornello, rifarsi il letto, pulire lo specchio del bagno, impostare una lavatrice: nessuno gliel’ha mai insegnato, ci pensa sempre Guenda.
La sua soluzione è strappare a morsi il tappo.
Parents don't stay around enough
Appoggia la pillola sulla lingua che subito viene travolta da un fiume di vino, le palpebre di Febo si appesantiscono e i muscoli trovano pace.
Il sonno giungerà a breve, "Per Fortuna" pensa continuando a bere.
Si stordisce con entusiasmo.
Febo, neo-diplomato, è dipendente da alcol e tranquillanti dalla preadolescenza: come finirà a cinquant'anni? E’ ancora in tempo per venir salvato, gli serve una buona supervisione...
Ma dove sono i suoi genitori?
L'Onorevole Barcellona è un uomo impegnato, non spreca le sue energie per Febo.
Classe 1968, discendente di una famiglia di banchieri ebrei, la famosa Zia Giuditta ha sposato un Rothschild nel 1924.
Barcellona si è laureato con centodieci e lode in giurisprudenza alla Federico II nel 1992 e ha conseguito un master in Global Studies a Bruxelles nel 1995. E’ stato eletto deputato nel 2006 nel Partito Democratico e senatore nel 2022: cosa lo rende celebre? Una sua intervista trasmessa nel 1987, dove un giornalista fermava membri della FGC a una manifestazione.
"Tutti i Compagni devono sentirsi orgogliosi, ma anche protetti, dall'Unione Sovietica: il più grande trionfo delle ideologie di Marx. I giornali fascisti e filo-americani credono di ingannarci, ma noi Compagni sappiamo di trovarci davanti un paese all'avanguardia. Da sogno, oserei dire."
"Quindi supporti anche le azioni di Stalin?"
Prima che rispondesse arrivarono altri ragazzi del movimento, ridevano, si misero: "Viva il Compagno Stalin! Viva il Compagno Stalin! Viva il Compagno Stalin!".
Inutile dire che queste dichiarazioni siano state riciclate per memes. Recentemente, l’Onorevole Barcellona ha mentito a David Parenzo e migliaia di telespettatori: "Quelle idee non mi rispecchiano più, tantomeno il PD".
In Parlamento è chiamato quel pazzo dell'Onorevole Barcellona, ma nelle mura domestiche...
Papone.
Russa sul divano di pomeriggio e le dieci sveglie prefissate non lo smuovono, si sbellica guardando "Striscia La Notizia" e nutre un' ardente passione per "La Settimana Enigmistica". Contesta qualunque cosa, è un fenomeno a dare i numeri, ma la verità è che è dannatamente felice.
Ha i riflettori puntati su di sé part-time, poi gode di una famiglia parer suo "perfetta" e il denaro non gli finirà mai. Talmente felice e contento del proprio benessere che non gli interessa quello altrui.
Al figlio non risparmia una strillata, anche quando è demoralizzato in partenza. Su di lui fa commenti umilianti, affinché suoi amici si facciano una risata, e gli proibisce di ragionare di testa sua perché la sua libertà significherebbe imperfezione: un figlio imperfetto equivale a un dettaglio della propria vita imperfetto.
Inaccettabile.
Papone c'è per metterti a dieta, ma non c'è per consolarti.
Stacco tardi.
Papone c'è per importi una facoltà che piace solo a lui, ma non c'è per complimentarsi.
Zitto! Sto facendo una telefonata importante.
Papone c'è per farti prescrivere ulteriori antidepressivi, ma non c'è per darti un abbraccio. Esco fra dieci minuti.
Anche la Signora Acquaviva, di professione Nobile Aragonese e per svago scrittrice pluripremiata, non si trova mai in casa. Capita che abbia vere scuse per astenersi dai doveri di madre: conferenze, incontri con case editrici, interviste e firmacopie. Però, la sua assenza è solitamente dovuta al piacere personale: aperitivi, cene tra amiche, riunioni del circolo di lettura, partite a golf.
La Mamma ha sempre l'impellente necessità di scrivere, e di non venir disturbata per alcuna ragione, se le viene chiesto di accompagnare in palestra Febo o Carlo.
Scrive, a casa fa solo quello. Né prende posizione nelle litigate né prende decisioni per i figli, tace col computer sulle gambe e digita meticolosamente. Ama la sua dimensione di personaggi e intrighi, odia quando è costretta ad uscirne.
"Sì sì, te estoy escuchando"
Si connette alla realtà esclusivamente per formulare questa frase. No, non ha ascoltato Febo spiegare il suo crollo nervoso per gli studi, prima che lui decidesse di isolarsi in cima alla casa.
Too many joy rides in daddy's jaguar
Funziona con tutte le ragazze con cui è andato a letto: fare il giro in Jaguar. L'ultima volta che ha usato quella tattica è stato quasi due mesi fa...
Virginia.
Già si scrivevano a Roma, lei EUR e lui Corso Trieste. Nessuna ragazza l’aveva mai fatto rimanere sveglio nell'attesa di un cuore rosso per la buonanotte su Instagram, eccetto lei. "E togli quel telefono!"
Strillava a tavola Papone, Febo non lo ascoltava nemmeno e continuava a messaggiarsi con Virginia.
Ha vissuto l'adolescenza tra foto in reggiseno e succhiotti, solo alla fine del liceo ha scoperto il famoso amore di gioventù.
Una volta, nell'ultima settimana di lezioni, si è presentato all'ingresso della scuola di lei. Virginia gli è saltata al collo e le compagne di classe si sono godute lo spettacolo, piene di invidia.
"Che me dici?"
Gli ripeteva mentre andavano a prendersi un pezzo di pizza, credeva che fosse deluso dall'incontro dal vivo. Invece, dentro di sé fremeva per quel bacio sulla bocca datogli appena si sono visti, la sua mente era in subbuglio.
Febo non vedeva l'ora che arrivassero i giorni di Ischia, tra una chiacchierata e l'altra hanno scoperto che entrambi le loro famiglie andassero in villeggiatura lì.
L'uno ha conosciuto gli amici degli altri, Febo era soprannominato il ragazzo di Virginia e Virginia la ragazza di Febo.
In una delle tante serate passate a ballare, sono riusciti a rimanere soli.
Una sera sarebbe successo, quella cosa lì, ma Febo non si sentiva pronto. E se lei si fosse sentita obbligata?
E se fosse andata in giro a dire che non ci sa fare a letto?
“Gigi," Così la chiamava
"Sei stanca?" Lei gli ha sorriso. "Macché".
"Vuoi fare qualcosa di divertente?" Nessun tono provocante, era giocoso quanto un bambino.
"Dimme"
"Nah, è 'na sorpresa. Ma devi fa' silenzio"
E per mano, soffocando risate accompagnate dal suono delle cicale, sono entrati in casa di Febo. "Se lo sa Papone m'ammazza" Ha detto così per fare, Papone lo sa benissimo tutte le volte e se ne frega. Sono sgattaiolati nel garage e saliti in macchina, in quel momento ha visto gli occhi di Gigi su di giri. A Febo è scappato un sorriso ed è sfrecciato via.
"Grand final!" Ed è sparito il tetto della macchina.
La ciliegina sulla torta nell'arte del rimorchio.
Circondati dalle piccole luci dell’isola e il vento fra i capelli si sono sentiti i sovrani del mondo.
Febo ha preso la via di casa, ma a metà percorso si è fermato.
Era il momento.
Dopo alcuni istanti di silenzio imbarazzante, Virginia ha rotto il ghiaccio. "Cazzo, ho esagerato con l'illuminante. Brillo sul serio" Ha commentato il suo riflesso nello specchietto. Febo, istintivamente, ha risposto: "Perché sei la mia stellina".
Subito dopo gli è parsa una frase demenziale e si è pentito di averla detta, ma Virginia gli ha lasciato di nuovo uno dei suoi baci.
Non ha smesso più.
Sono rimasti fino alle tre di notte l'uno a fianco all'altro a dormire sereni, la gamba di lui avvolgeva timidamente quella di Gigi e la sua mano le toccava il seno. Febo si chiede quando il fattaccio sia successo: quando lui stava su di lei o lei su di lui, magari quando l'ha fatto da seduto.
Successivamente il rapporto fra lui e Gigi è diventato più bello, la lontananza non era più tollerabile, peccato che non sono riusciti più a star soli.
Poi, Virginia ha telefonato a Febo.
Capitava spesso che lei fosse incastrata in una noiosa cena di famiglia e lo chiamasse, era così divertente.
"Pronti?!" Era in vena di scherzare.
"Sono incinta" È stata la conversazione più breve che abbiano mai avuto.
Febo si è accertato che lei stesse bene e l'ha pregata di dirgli come l'avrebbe potuta aiutare, Virginia ha troncato presto spiegando che ci avrebbe pensato lei. La mattina seguente è tornata a Roma, Febo le ha mandato fino ad ora novantacinque messaggi e l'ha chiamata cinquantadue volte, questo è il motivo che infradicia il suo cuscino di lacrime.
Lo Xanax comincia ad ovattare quel ricordo, il telefono squilla: solo una notifica di Grindr.
Too many white lies and...
Attiva la modalità aereo, arrivano troppi messaggi.
Febo non ha voglia di essere fantasioso ora, fantasioso nell'inventare scuse per evitare
qualunque contatto umano.
Dai gruppi WhatsApp gli arrivano inviti a fare serata da parte della comitiva del mare o dai cugini di Napoli, altri ragazzi gli scrivono che a breve faranno un salto ad Ischia e che gli piacerebbe salutarlo.
Tutta quella gente penserà:"Quanto ha da fare, Febo...Ed è giovanissimo" Non importa di quanto sia insicuro, verrà sempre visto come un futuro studente LUISS brillante e militante perfetto dei Giovani Democratici. Febo ha capito il segreto del successo: raccontarlo, non averlo. Tu sei l'opinione altrui, se chiunque crede che tu sia una persona di rilievo e impegnata, lo sei.
I meetings su Zoom, le visite ai musei e i convegni di cui parla sono metà inesistenti. In realtà, sta svaccato su qualche poltrona, sdraio o letto.
Da quando è entrato nell'adolescenza, quante bugie ha detto. La più famosa? Sto bene.
Ha paura: paura di annoiare con i propri problemi, paura di ridicolizzarsi, paura che possano usare quelle debolezze a loro favore, paura di far paura.
Perciò, si limita a dire che vada tutto bene.
Gli è successo un mare di volte di imbattersi in un come stai? da parte di un conoscente in strada con il viso fresco di pianto o di ricevere una telefonata nel bel mezzo di un attacco di panico. Inoltre, non gli piace entrare in confidenza perché detesta troppe sue amicizie. È simpatico con uno sconosciuto, altrimenti andrebbe a dire "Febo se la tira", e quello presume di essere suo amico. Febo non può trattare il coetaneo con superficialità di punto in bianco, allora è incastrato in un' amicizia indesiderata.
Gli anglosassoni lo definirebbero people pleaser, non esprime mai il suo pensiero reale, ma solo quello che si aspettano da lui in quanto maschio, figo, benestante, di sinistra, figlio di Onorevole e promessa della società. Febo ha di natura una faccia seria e, come se non fosse abbastanza, un' indole introversa. Però, visto che è oggettivamente bello, a primo impatto scambiano la timidezza per vanità.
Non saluta in una stanza piena di gente perché gli fa venire ansia, non per menefreghismo. Forza un sorriso per convincerti che non ti odia, spontaneamente non lo farebbe, eppure viene ritenuto stronzo lo stesso.
Notano arie scocciate immaginarie, però non notano quanto stia male
Questa riflessione si presenta nella sua testa continuamente, e lo uccide. Raramente c'è chi si ferma a conoscerlo davvero, ciò lo spinge a lavorare al meglio sulle apparenze. Le parole di Febo, le azioni di Febo e il Febo che incontri sono un' intera, grossa, bugia bianca: finta, ma per compiacerti.
...White lines
La definitiva perdita dell'innocenza è quando scopri il motivo per cui spariscono, all'improvviso, gli amici alle feste.
Fino a minuto fa balli e ridi con tre o quattro amici, poi non li vedi più.
Febo supponeva che si scordassero di salutare, tutto qui.
Quando aveva quindici anni Flaminia, sua cugina, gli ha detto: "Vieni con me". E, per la prima volta, è stato lui a sparire in gruppo.
In cinque dentro a un gabinetto nel bagno dei maschi, pure Flaminia. Lei ha tirato fuori dalla borsa una bustina di plastica gonfia. Gonfia di cocaina. Febo non ha fiatato, non che sia un chiacchierone, ed è rimasto ad osservare sua cugina e gli amici.
"Dai, fatti una striscia pure tu!" C'erano diverse linee bianche sullo schermo del telefono di Flaminia.
Come gli altri, ha preso una banconota da cinque euro, l'ha arrotolata e ha tirato sù tutto in un colpo solo. Non ha sentito alcun effetto, normale per la prima "bottarella", quindi ha avuto l'impressione che la cocaina non fosse nulla di speciale.
Poi, ha visto le condizioni di coloro con cui è stato nel gabinetto: un gruppo di zombie. "Usciamo"
E sono finiti sul retro del locale, mentalmente erano ormai distaccati dalla festa. Vomitavano parole, un miscuglio fonetico incomprensibile.
Uno aveva il timore che un certo Chicco lo trovasse in quelle condizioni, l'altro gridava perché aveva dimenticato la macchinetta in doppia fila.
Fumavano di fila sigarette o le chiedevano ai passanti in soggezione, non si sono accorti del disagio di Febo. A stenti hanno ballato al ritmo della musica che veniva dalla disco.
Aver accettato di seguire Flaminia ha cambiato la sua percezione del mondo per sempre.
Quella dinamica dei branchi è diventata impossibile da trascurare, ovunque si trovi la vede. "Possibile che sia così normale pippare?"
Si è domandato.
Febo infila una Terea nella Iluma e finalmente lascia i singhiozzi uscire dalla bocca.
"Ecco perché Papone e gli zii si allontanano finito il pranzo" Ha realizzato il pomeriggio seguente, scioccato. Ha avuto conferme notando linee sbiadite sul comodino attaccato al letto dei genitori, sul tavolo in vetro nel soggiorno.
"Carlo, sembra che hai gli occhi più grossi oggi" Puntualmente, le sue pupille si fanno grosse quasi solo nel fine settimana. Idem quelle di Febo, ora.
Super rich kids, with nothing but loose ends
Il pianto liberatorio è susseguito dalla sonnolenza, Febo è pronto a crollare nel sonno...
La Iluma vibra.
Anche con la nausea, aspira il tabacco riscaldato. Si dimentica di espirare, autonomamente il fumo esce dalle narici. La nicotina lo tiene sveglio, rimanere sveglio significa avere una carrellata di pensieri intrusivi.
Insieme alla Dottoressa Tominetti sta lavorando sul problema del rimuginare, questa nuova psichiatra ha centrato istantaneamente il suo problema.
Era ora, dopo dieci anni.
peccato che tre sedute siano incapaci di metterti la testa a posto.
Il ti chiamerò di Gigi gli rimbomba nelle orecchie, dà un sorso di vino e il vetro gli sbatte contro i denti.
Geme per entrambi i dolori, quello fisico e quello mentale: no, non l'ha chiamato.
Che cosa le ha fatto di male? Voleva starle vicino.
Perché non sono andato a Roma da lei? Gli piomba nel cervello quell'idea, è una domanda seria.
Poteva andarsene con Dado, lui è partito nello stesso periodo di Gigi per quel workshop di recitazione con Nanni Moretti, e invece ha deciso di piangere sotto le coperte come un coglione. "Perché sono un coglione!" Gli occhi si accartocciano e la bocca si contrae, torna a piangere. Dado, Orlando Di Castro... Il rapporto si è incrinato pure con lui, forse non sarebbe stato contentissimo di vederlo.
Fanculo Elia Mastai Ferretti.
Elia, alle elementari, tirava le matite a Lapo e lo offendeva.
Ciccio-Bomba, Balena, Grassone.
Non lo incrociava più perché era tornato a Urbino, era a suo agio fra i paesani a darsi le arie, ma poi è tornato a Roma.
Febo non ha fatto in tempo ad accorgersi che Dado avesse stretto amicizia con Elia. Di botto hanno cominciato a dedicarsi TikToks a vicenda, pubblicare storie Instagram.
Dado sa benissimo la storia del bullismo.
Febo, completamente maturo, ha smesso di scrivere a Dado senza spiegazioni. Papone è il padrino di Dado, è un' amicizia che si portano dalla generazione precedente, e Lapo la sta distruggendo perché non vuole aprirsi.
"E cos'ha detto di me?"
Ha chiesto ieri a Carlo, è stato difficile minimizzare gli insulti.
"Mah... Ha detto tipo che te la credi, da quando lui non è stato ammesso alla LUISS (e tu sì) ti sei messo a fare lo snob. Che se ne andasse affanculo. I soliti sfoghi da alcol, nulla di che"
Febo, dalla rabbia, morde il filtro della Terea fino a staccarne un pezzo. "Che down! È proprio un down, come fa a pensare che io me la tiri!?" Getta a terra la Iluma, beve il suo vino.
Super rich kids with nothing but fake friends
Febo è solo, sbronzo e impasticcato in una delle più belle isole italiane con tutti i soldi immaginabili.
Sì, ha voluto isolarsi, ma questo perché non riesce a pensare a qualcuno con cui voglia stare.
Ha solo amici di.
Gli amici di famiglia, ragazzi che non hanno nulla a che fare con lui, però Papone ci tiene
che lui ci cresca insieme.
Gli amici di scuola, una ventina di suoi coetanei che deve farsi andare a genio per non soffrire per cinque anni.
Gli amici di partito, gli inculcano che devono essere fratelli. Non importa quanto parlino alle sue spalle, ci deve convivere.
Febo si guarda le ciabatte Balenciaga prima di chiudere gli occhi definitivamente, e si accorge che costano cinquecentocinquanta euro.
Il Reddito d'Inclusione è di circa duecentocinquanta euro.
C'è chi dovrebbe morire di fame per comprare le sue scarpe, ecco perché i ragazzi si prendono a spallate per diventare il suo migliore amico: come ha fatto Nevio.
Nevio Loreto, gli ha sporcato la fedina penale e continua a mancargli da matti.
Giocare a calcio non è mai piaciuto a Febo, tantomeno da bambino. Obbligato all'età di sei anni, si era trovato a Roma ad un corso di calcio.
I compagni non gli rivolgevano la parola, eccetto Nevio. Lui e Febo stavano assistendo a una partita degli altri bambini su una panchina, il primo non giocava per incapacità e il secondo per violenza in campo.
"Com'è che te chiami?"
"Febo"
"Io so' Nevio"
"Ok..."
"De do sei?"
"Corso Trieste, te?"
"Pietralata".
Ai bambini frega poco di quelle cose, agli adolescenti maggiormente e gli adulti le chiamano cose fondamentali.
"Nevi', l'amico tuo c'ha i sordi co' 'a pala. Invitalo ar compleanno tuo".
Gli era stato raccomandato dai genitori. Avevano ragione, Nevio ricevette un set enorme di Hot Wheels che tutt'oggi conserva.
"Posso veni' a casa tua, Febo?" L'insistenza non appare pressante a quell'età, perciò Lapo accettava. Tra compleanni e merende, Nevio era diventato il suo migliore amico.
Febo lo considerava tale, finalmente un bambino voleva stare con lui! A Napoli aveva qualche amichetto, ma non il famoso migliore amico.
Il calcio non li aveva divisi, Febo preferì la PlayStation e Nevio entrò nella Primavera. Nevio lo trascinava allo stadio e Lapo quei cori non li imparava mai. A casa sua si tifa Napoli, d'altronde.
"Nevio, devi sempre fa' a botte?" Sembrava che lo dicesse scherzando, invece era genuinamente innervosito. Bastava che un laziale passasse sotto gli occhi di Nevio e lui lanciava una provocazione, in meno di un secondo Febo stava in mezzo a una rissa. Le botte, le spinte, le ha beccate spesso.
Nevio lo trasportava in una violenza che non si limitava alle risse in curva.
"Spicciate, Fe'!" Febo aveva un coltello in mano, le dita gli tremavano. Dovevano bucare le gomme alla minicar di Christian, aveva chiamato Febo "napoletano di merda".
Lui è sempre stato abituato a beccarsi insulti del genere, ma Nevio parve furioso e gli aveva detto di "sgarraje 'a macchina".
In un' altra occasione, Nevio aveva praticamente obbligato Fiber ad accompagnarlo a casa dal Piper con la macchinetta, non si vedeva nulla col buio.
"Accelera, porcoggiuda"
Erano già a cento chilometri, un' auto del genere non dovrebbe superare gli ottanta.
"Statti buono, altrimenti 'sta lattina si ribalta".
Un' Audi li aveva sorpassati, Nevio perse la testa. Si sporse dal finestrino "Aoo, 'a stronzo! Fijo de na' mignotta!" Febo notò che l'auto stesse sul punto di fermarsi, Nevio l'aveva incoraggiato ad accostare, ma accelerò e fuggì a casa di Nevio.
Febo non aveva dormito dalla paura, "Mi avrà preso la targa?...".
Gliene erano capitate tante, questo aveva fatto credere a Febo che avessero un legame profondo, di sangue, dopo quelle avventure.
"Febo, non ti arrabbiare, ma ho visto Nevio prendere venti euro dal tuo portafoglio mentre eri in bagno" Febo lo difese fino in fondo.
"Febo, Nevio non ti ha fatto vedere il telefono prima perché si stava scrivendo con i ragazzi del calcetto. Mi starò sbagliando, ma c'era una tua foto dov'eri nudo, stavi nello spogliatoio." Lo difese di nuovo, passando alle mani alla maniera del migliore amico.
Uno che ti vuole male, non sta con te ventiquattr'ore su ventiquattro... Pensava.
Nei giorni dell'occupazione, prima metà della quinta liceo, Nevio si rivelò per quello che era sempre stato. Lui e Febo erano rimasti a dormire a scuola, e soprattutto Nevio, se ne approfittò: giochi con gli estintori, carta igienica in giro per i corridoi, gabinetti spaccati
. Il nome di Nevio Loreto uscì presto, aveva dovuto dichiarare i suoi complici: Ludovico di seconda alla succursale, un insopportabile burino di un metro e cinquanta.
Linda di quarta, indifendibile, si era messa in mostra sui social. Qualche altro idiota,
e Febo.
Con una falsa voce tremante, si era dilungato sulle gesta di Lapo mai compiute. "Io lo assecondavo, erano tutte iniziative sue. Davvero".
Ignorò Febo per il resto dell'anno, nonostante stessero nella stessa classe. Lapo tentò di avere un dialogo, un fallimento.
Lo costrinse a chiamare gli avvocati, i Loreto si presero diecimila euro per togliere la denuncia.
Tredici anni da fratelli liquidati con diecimila euro.
Non importa cosa stia passando Febo, lui sa che potrebbe andare meglio, la perfezione delle giornate è con Nevio al suo fianco. Una metà della sua vita è mancante ed è impossibile anche negarlo.
Ora deve vivere con un' orribile certezza: con alte probabilità, non avrà mai un vero amico. Il suo cuore invecchierà da solo e già comincia a farsi arido, Febo si addormenta senza poterlo confessare a qualcuno.
L’altro giorno ero in macchina con mia madre; in radio passava Come as You Are dei Nirvana. Mi sono voltata verso di lei e le ho detto in tono divertito:
«La canzone dice “I swear i don’t have a gun” ma non era proprio così alla fine, no?»
E lei con la proverbiale prontezza dei boomer mi ha fatto:
«In che senso?»
«Che Kurt Cobain si è ucciso, con un fucile, ti ricordi?»
«Io sapevo che lo avevano assassinato. Quando io e papà ci stavamo per sposare giravano mille teorie.»
«Ma erano complotti?»
«Non saprei dirti».
A Seattle, in Lake Washington Boulevard East 171, alle 08:40 di mattina dell’8 Aprile 1994, nella veranda sopra il garage della villa il corpo senza vita di Kurt Donald Cobain giaceva con un fucile tra le gambe. E intorno a lui, sparsi, cucchiaini e siringhe, 120 dollari in contanti e la sua nota d’addio, infilzata con una biro nera. E fin qui tutti d’accordo. Il corpo viene trovato da un elettricista entrato per fare lavori di manutenzione. Kurt era scomparso da qualche giorno, dopo solo 24 ore nella clinica di riabilitazione a Marina Del Rey, California. Proprio in quella stessa villa, una settimana prima, si era svolta una riunione; insieme avevano tutti concordato (Kurt compreso) che fosse necessario ricoverarlo per via della sua dipendenza dall’eroina. Era dunque entrato volontariamente e poi ne era fuggito, prendendo un aereo e facendo perdere le sue tracce. Qui ci inoltriamo nella nebbia.
Courtney Love, moglie di Kurt, ingaggia subito un investigatore per ritrovare suo marito: Tom Grant. Non un investigatore privato qualsiasi, ma un uomo con un curriculum da far spavento che si era addirittura occupato dell’impeachment di Clinton. Grant si mette sulle tracce di Kurt, ma pur visitando la casa due volte non gli viene in mente di controllare la stanzetta sopra al garage. Passano tre giorni prima che il corpo del cantante venga ritrovato. Quando arrivano sulla scena del delitto agli inquirenti la situazione sembra chiara: suicidio con un fucile Remington M-11; un colpo in testa e morte istantanea. Ma da una collina poco lontana un giovane giornalista di nome Richard Lee scatta dei fotogrammi che saranno il punto di partenza per le speculazioni sul caso. Lee sosterrà che la quantità di sangue intorno al corpo non sia abbastanza da confermare l’ipotesi del suicidio, ma verrà presto smentito dagli esperti. In ogni caso ormai la strada delle teorie di complotto è stata aperta. Da quel giorno il Seattle Police Department sostiene di ricevere almeno una richiesta a settimana di riaprire il caso. Lo stesso Tom Grant solleverà una serie di incongruenze nella versione ufficiale dei fatti: nel corpo di Kurt si trovava tre volte la quantità letale di eroina, non sarebbe quindi stato in grado di sollevare il fucile e spararsi. Inoltre sul fucile si trovavano tracce di impronte digitali, come se si fosse tentato di cancellarle e non ci si fosse riusciti, e viene anche detto che ci fossero stati dei tentativi di usare le carte di credito nei giorni successivi alla morte. E infine la nota di suicidio di Kurt, che pareva scritta con due grafie differenti e con pressione diversa. La parte ambigua sarebbe stata proprio il commiato finale. Quest’ultima opposizione si ricollegherà all’accusa di Grant nei confronti di Courtney Love, nella cui borsa verranno ritrovati dei tentativi di imitazione della calligrafia di Kurt. A insospettire ulteriormente Grant sarà la grande fetta di investigatori assegnati al caso che erano amici, stretti o meno, di Courtney. A questo punto la stampa si scaglia contro la Love; saltano fuori interviste a suo padre dove (causa i rapporti difficili con la figlia forse?) la accusa di essere un’assassina e una mente diabolica. E poi esce la versione della storia di Hoke (leader della band Mentors) durante un’intervista per un documentario sulla morte del frontman dei Nirvana, che evidentemente alterato sostiene che gli siano stati offerti da Courtney 50.000 dollari per far fuori Kurt. Il movente? La paura di essere diseredata dopo il divorzio, ormai imminente. Due teorie principali finora dunque: il suicidio, per quanto poco accreditato dai fan, e l’omicidio con mandante Courtney. Infine salta fuori la più assurda delle ipotesi: che Courtney fosse ancora legata a certe frequentazioni di una base militare USA in Alaska? E che Kurt fosse vittima di chissà quali losche faccende? Grant partecipa alla stesura di molti libri, lavora al caso per quindici anni gratis. Nel corso del tempo saltano fuori interviste, ipotesi, nomi che vengono poi rapidamente insabbiati. Eppure la versione ufficiale, sebbene il fascicolo sia stato riaperto, rimane quella del suicidio. L’opinione di molti ha poco a che fare con la realtà della morte effettiva: si riconosce a Kurt Cobain una solitudine immensa, un veleno inflittogli da chi gli stava intorno che seppur non provati assassini, rimangono complici di un suicidio che segna la storia della musica.
22/05/2024
Savoy Ballroom, Harlem, 1937. Sul palcoscenico della sala da ballo si stagliano le sagome di tredici eleganti figure in abito da sera, l’atmosfera è carica di eccitazione. Improvvisamente dei colpi sulla batteria squarciano il silenzio con una travolgente introduzione, gli ottoni della Benny Goodman Orchestra irrompono con una trascinante melodia a cui è impossibile resistere: i giovani che gremiscono la sala si scatenano sulle note di uno dei brani più famosi della Swing Era, “Sing, Sing, Sing”, e nell’aria si respira tutta l’euforia dei ritmi incalzanti del Jazz degli anni Trenta. Quasi cent’anni dopo, lo stesso brano viene ancora eseguito con lo stesso arrangiamento, i musicisti sono nuovi, gli spettatori anche ma lo spirito è immutato: l’energia e la vitalità spumeggiante dello Swing sono ancora capaci di infiammare gli animi.
Ho scoperto questo genere qualche anno fa, quando ho deciso di dedicare la mia vita allo studio del Jazz ed ho avuto la fortuna di entrare a far parte di due orchestre italiane che si dedicano al repertorio del cosiddetto jazz classico: gli Hot Gravel Eskimos, specializzati nella Swing Era, ed i Chicago Stompers, che riportano in vita la musica degli albori del Jazz, le orchestre degli anni Venti. Sono incappata nella piacevole scoperta di una musica straordinariamente vicina allo spirito giovanile, ingiustamente considerata stantia e morta dalle nuove generazioni. Mi sono dunque ritrovata a domandarmi cosa muova alcune persone a voler suonare, ascoltare o ballare questo genere ancora e ancora e perché a distanza di quasi un secolo, continui ad esercitare un fascino così irresistibile.
Innanzitutto è immediatamente comprensibile nella sua complessità, anche per un ascoltatore meno esperto, ogni brano è sapientemente arrangiato per risultare limpido nella sua simplicitas, melodioso ed accattivante, le complesse architetture nascoste nella scrittura concorrono alla resa di brani che difficilmente lasciano indifferenti. È inoltre un genere caratterizzato dalla presenza di solisti che spiccano per carisma ed estro, musicisti che grazie ad un’assoluta padronanza della tecnica strumentale sono soliti lanciarsi in virtuosismi mozzafiato, esibizioni di maestria, gusto e musicalità.
Cimentarsi nello studio del repertorio del jazz classico presenta notevoli sfide dal punto di vista esecutivo, ma altrettanti vantaggi: lo sforzo richiesto per imitare il sound di un’altra epoca in primo luogo permette al musicista di scoprire le diverse potenzialità del proprio strumento, a partire dall’evoluzione della tecnica a livello storico, abitua inoltre l’orecchio ad un ascolto attento e meticoloso spostando l’attenzione su aspetti musicali che sarebbero di norma ignorati. Per un musicista poi, è imprescindibile lo sviluppo di un senso d’insieme orchestrale, di reciprocità dell'esecuzione e dell'importanza del singolo in relazione all’altro, elementi su cui le Big Bands pongono le proprie fondamenta.
Dal punto di vista della voce, strumento a cui mi dedico personalmente, costringe a spogliarsi di tutti i virtuosismi del canto moderno e mettere in discussione gli stilemi del gusto contemporaneo, lasciando spazio ad una distensione che apre il cuore e lo spirito verso un'espressione più naturale e sincera del proprio sentire. Nondimeno, per uno strumento è notevole la dedizione richiesta per assimilare il linguaggio del jazz classico ed esprimere il proprio pensiero musicale attraverso uno stile tanto lontano da quello attuale. È in conclusione un genere che, da musicisti, vale la pena praticare, da appassionati di musica, ascoltare, da ballerini, danzare, dunque, nella speranza di essere riuscita a comunicare il mio entusiasmo nei confronti di questa musica, vi invito a concedervi il piacere di gustare un concerto dal vivo di travolgente jazz.
22/05/2024
“Voglio essere libero, libero come un uomo
Vorrei essere libero come un uomo
Come un uomo appena nato
Che ha di fronte solamente la natura
Che cammina dentro un bosco
Con la gioia di inseguire un'avventura
Sempre libero e vitale
Fa l'amore come fosse un animale
Incosciente come un uomo
Compiaciuto della propria libertà”
“La libertà” del signor G., Giorgio Gaber per i meno avvezzi, nasce nel ‘72 dalla penna di G. e Sandro Luporini come cavallo di battaglia dello spettacolo di Teatro canzone “Dialogo tra un impiegato e un non so” e che verrà in seguito inserito nell’album “Far finta di essere sani”.
È un testo che ha fatto la storia della canzone italiana, partorito da una mente brillante che nella sua ironia, nell’actio e nell’interpretazione della realtà rimane una pietra miliare del secolo scorso. Gaber è pieno di riferimenti alla cultura europea, ispirato dalle grandi voci e dalle minori, caratterizzato da quel suo frenetismo sul palco, quel sudare e interpretare che catturava e trasportava. Ma “La libertà” è forse un testo unico tra mille gemme variopinte e cangianti, il diamante di un album che dirompente cercava di raccontare il disagio di un uomo in costante adattamento. Già il titolo “Far finta di essere sani” punta il primo dito contro una “normalità” e una “follia” fittizie, invenzioni fantasiose della società di ieri e di oggi. E così come la normalità risulta essere un sottile equilibrio tra benessere e malessere, così la libertà si rivela essere una chimera.
Gaber ci parla dapprima di una libertà fraintesa, che dovrebbe essere assoluta, quasi primitiva, e unicamente individuale:
“Come un uomo appena nato
Che ha di fronte solamente la natura
Che cammina dentro un bosco
Con la gioia di inseguire un'avventura
Sempre libero e vitale
Fa l'amore come fosse un animale”
La libertà quindi di un uomo selvaggio, che vive come un animale. Provocatorio, ci presenta la definizione più immediata di libertà, un’idea onnipresente nelle nostre menti. Emerge poi la libertà legata a doppio filo con la politica, la libertà che l’uomo trova solo nella sua democrazia:
“Che ha il diritto di votare
E che passa la sua vita a delegare
E nel farsi comandare
Ha trovato la sua nuova libertà”
Muta la sua forma proprio come una visione, un animale mitologico. È concreta? È coerente? Possibile che si trovi la propria libertà nella sottomissione, addirittura nella deresponsabilizzazione? La libertà di lasciare indietro la mente e le sue catene, l’abbandonare l’obbligo di essere animali pensanti, evoluti, coscienti, è questo che l’uomo insegue nel concetto di autonomia e autogoverno? L’essere governati diventa un lusso, una vacanza per una mente che non sopporta il peso della sua intelligenza. Gaber è capace di guardarsi intorno, la realtà che dipinge è ancora attualissima.
Nel ritornello della canzone emerge il messaggio dell’autore, l’idea di una libertà individuale che è frutto della collaborazione collettiva, del rispetto reciproco.
“La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche avere un'opinione
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione”
Per Giorgio Gaber dunque la libertà è il far parte di qualcosa, derivante proprio da una necessità umana. Non è il vivere in solitudine, ma si manifesta piuttosto nella caratteristica più fondamentale dell’uomo, ovvero il suo essere un animale sociale. Non è quindi un’invenzione tale mito di sovranità ma una cosa reale, concreta. La libertà di Gaber si tocca, ma soprattutto, si costruisce insieme.
E infine il suo invito, a tutti gli uomini, a riporre cieca fiducia nella propria ragione, a servirsene e a compiacersene.
“Come l'uomo più evoluto
Che si innalza con la propria intelligenza
E che sfida la natura
Con la forza incontrastata della scienza”
La libertà dunque non è stare sopra un albero, non è farsi comandare, non è neanche ritrovare la nostra natura di animali, ma neanche un’invenzione fantasiosa delle nostre menti. La libertà è fatta, creata e mantenuta dagli uomini nella loro volontà di rispetto reciproco e dialogo. È una nostra necessità, un bisogno che va oltre il costrutto sociale del rapporto interpersonale, è un istinto che si tramuta in azione, e che nel nostro tempo e nella nostra costruzione sociale viene rimodellato a seconda delle necessità.
06/03/2024
In un universo musicale come quello italiano, negli ultimi anni sempre più tendente all’omologazione e all’appiattimento, sempre più lontano dalle sonorità cantautoriali sostituite dalla ricerca e l’utilizzo di musicalità pop e casse dritte, Marco Castello cantautore siciliano si rivela come una vera e propria scoperta. Nato a Siracusa, musa ispiratrice, più che semplice città natale, lascia la Sicilia per laurearsi a Milano in tromba jazz, ma è proprio nella sua regione che conosce Erlend Øye, fondatore dei Kings of Convenience, con il quale nascerà una collaborazione che lo porterà a seguirlo nel suo tour mondiale e ad entrare nella sua casa discografica con la quale produrrà il suo primo album Contenta tu, per poi proseguire la sua esperienza dando vita alla propria etichetta indipendente “Megghiu Suli” con la quale darà vita al suo secondo album Pezzi Della Sera.
Contenta tu
L’album d’esordio è un manifesto della musica di Marco Castello, un’ode alla quotidianità, alla sua infanzia e vita siciliana, una penna schietta, irriverente sin dai primi pezzi Porsi e Cicciona, dove le sonorità ricordano un po’ Brunori, un po’ Battisti e Carella.
Luca canzone dedicata al fratello e alla sua testardaggine “non mi viene di fidarmi di chi vuol farsi pagare per fare al mio posto quel che lui fa di mestiere” e poi Torpi dove la formazione jazz e l’aggiunta di ritmi funk alla Nu Genea creano un mix irresistibile tutto da ballare.
Palla “bloccata con la catena a una caviglia mentre tu provi a saltare” ipnotizzante ed avvolgente. Marchesa e l’utilizzo sapiente del basso di Lorenzo Pisoni che con Villaggio e Contenta tu segna un trittico di storie d’amore estive e leggere.
Il canto popolare in siciliano di Addiu e Avò a sottolineare ancora il suo viscerale legame con Siracusa e la Sicilia.
Questo album ci lascia un autore ironico, sottile e sapiente, utilizzatore (burattinaio?) delle parole e del loro senso, ma soprattutto un musicista che si fa influenzare, ma che mai cade nell’imitazione, capace di creare uno stile tutto suo, riconoscibile ed originale.
06/03/2024
Cos’ è l’ Industrial Music e da dove partire per ascoltarla.
L’ Industrial Music, nata in Inghilterra a metà degli anni settanta e battezzata cosi dal musicista Monte Cazazza proprio con il motto “Industrial Music for industrial people”, è stato ed è ancora oggi un fenomeno dirompente, talmente tanto da essere stato spesso frainteso e venire relegato in quella che è definita la “Grey Area” della musica. In pochi, soprattutto ai giorni nostri, conoscono il genere o si sentono di avvicinarvisi più approfonditamente, spesso definendolo disturbante o privo di senso. Ma c’ è sicuramente qualcuno che, per gusti personali o per semplice curiosità verso le innumerevoli sfaccettature della storia della musica, prima o poi si chiederà: “ma che cos’ è l’ Industrial?”
Ebbene, dal punto di vista prettamente tecnico, la musica Industrial si presenta come un genere di rottura rispetto a tutto ciò che era venuto nei decenni precedenti, sfrutta i nuovi linguaggi della musica elettronica portati in auge dai Kraftwerk nella Germania di inizio anni ’70 e li ripropone in una chiave che va a destrutturare completamente la forma canzone tradizionale: non si tratta più di brani, ma di componimenti, nei quali si dispiega una vasta gamma di campionamenti di suoni di oggetti comuni, stridii metallici e sonorità tipiche dei sintetizzatori dell’ epoca, mentre la voce ricopre un ruolo marginale, limitandosi, senza cantare, a “recitare” testi spesso insensati o ripetitivi, o addirittura viene semplicemente campionata e usata come mero strumento aggiuntivo a quelli già presenti.
Dal punto di vista delle personalità coinvolte, l’ universo industrial è uno dei più articolati, ma se ne si vuole approcciare l’ ascolto, il punto di partenza non possono che essere i Trobbing Gristle.
Genesis P-Orridge, Cosey Fan Tutti, Cris Carter e Peter Cristopherson, quattro ragazzi inglesi appartenenti al gruppo COUM Transmissions, che sentono che i tempi sono maturi per unire tutte le loro conoscenze per creare qualcosa che sconvolga la musica popolare. Nel 1975, quando anche le sonorità hard rock ormai erano diventate di routine, cambiano nome in Throbbing Gristle e fondano l’ etichetta Industrial Records; nel 1976 pubblicano l’ album “20 Jazz Funk Greats” , considerato il capostipite del genere , con il quale il gruppo inglese pone come base tutte quelle soluzioni formali che caratterizzeranno il genere fino a oggi, e che verranno rilette e ampliate da innumerevoli gruppi, tra cui sono consigliati i Cabaret Voltaire, a loro contemporanei, che soprattutto con l’ album di debutto “Mix Up” del 1979, propongono i medesimi elementi in una luce più cupa e vagamente vicina allo stile Goth che anche stava nascendo in quegli anni.
Il principio di disgregazione delle forme esistenti alla base della musica dei Throbbing Gristle venne esteso dal gruppo a concetti come l’ esibizione dal vivo e l’ idea stessa di “Band”: per quanto riguarda il primo punto, i loro live erano esibizioni che mescolavano musica e performance di arte sperimentale al limite del disturbante e che spesso allontanavano il nuovo pubblico inorridito, mentre a proposito del secondo, fu proprio il gruppo inglese a introdurre l’ immagine che abbiamo di “band” non come un insieme fisso di persone guidate da un frontman di riferimento, ma come un’ entità fluida, in continuo mutamento, spesso formata anche da membri non musicisti.
Questa nuova concezione di band come collaborazione, come “collettivo”, sarà indicativa di buona parte del vasto universo industrial degli anni a venire. Dalle ceneri degli stessi Throbbing Gristle si formeranno gli Psychic tv, ma questa tendenza caratterizzerà anche gruppi del panorama post- industrial, come i Coil, sul finire degli anni 80 e i grandi collettivi appartenenti al Neofolk (su tutti i Current 93), un genere che all’ Industrial deve moltissimo.
Infine, se si vuole un’ interpretazione un po’ più poetica, l’ Industrial music si può vedere come la fusione e il compimento delle avanguardie artistiche dei primi del ‘900: è l’ insieme di idee visionarie del futurismo, è la volontà di ribaltare la realtà e l’ ordine costituito del dadaismo ed è la realtà alternativa dopo il ribaltamento offerta dal surrealismo.
04/01/2024
“The importance of being idle” è un singolo del duo inglese Oasis estratto dall’album del 2005, intitolato “Don’t Believe The Truth”. Agli sgoccioli della loro carriera, sempre più minata da discordie e antipatie interne, i fratelli Gallagher rilasciano una potentissima canzone di disprezzo, di protesta e velatamente d’aiuto nei confronti di un sistema esasperante in cui si può trovare posto solo accodandosi alla lunghissima fila di lavoratori produttivi che, accecati dall'avidità e/o incalzati da un istinto di sopravvivenza, freneticamente marciano al ritmo comune scandito dal rullante.
Noel Gallagher esterna bene questa nausea, derivata dal senso di inadeguatezza rispetto a una società che lo obbliga “a vendere la sua anima” per pareggiare i debiti dell’affitto, che per bocca della sua ragazza lo addita come “pigro” e che lo esorta a spingersi al limite delle sue capacità umane; realizza infatti che “non può farsi una vita se non ci mette il cuore”. Dopo un attimo di riflessione, comprende che effettivamente a lui basta stendersi su un letto sotto la volta stellata, liquidando i suoi doveri con un laconico e indifferente “I don’t mind”.
In effetti, chi è che non vorrebbe vivere immerso nell’ozio più piacevole, libero finalmente dalle catene dei propri impegni sociali?
Attualmente si è abituati a giudicare la pigrizia come un tratto piuttosto negativo, vizioso, nel senso latino del termine piger, cioè lento, e quindi estremamente dannoso agli occhi del capitalismo occidentale e della rapidità ottimizzatrice che esso stesso sbandiera fieramente.
Concezione del tutto opposta a quella di culture già più lontane: è sufficiente muoversi nel continente africano per scoprire la filosofia del mora mora, l’equivalente italiano del Dolce far niente, ossia della lentezza benefica. Ma l’indolenza alla quale inneggia questa canzone ha radici ancora più antiche, affondate nell’a-ergos greco, cioè in quel concetto che designa l’assenza di lavoro (da notare la sua connotazione del tutto neutrale). È proprio sulla base di questa definizione che invece bisogna ricostruire il valore della pigrizia, intesa come scelta libera di sovversione al sistema.
Paradossalmente, essere pigri non significa abbandonarsi alla nullafacenza, crogiolarsi in un nichilismo stanco e quasi accidioso, bensì prendere posizione: scegliere di non prefissarsi obiettivi, di correre via da quella marcia logorante ritmata dal capitalismo e, insomma, di vivere al momento. Ecco, per l’appunto, vedere sbiadirsi l’esortazione oraziana: come si può cogliere l’attimo se si è sempre occupati a fare altro? Ognuno travolto dalla macchina incessante della routine, della fatica, degli obblighi, ma quanti veramente si fermano a compiacersi del prodotto del loro sforzo? Quanti effettivamente si godono il giro della ruota panoramica della vita senza aspettare impazientemente il momento di scendere, per ritornare letteralmente “con i piedi per terra”?
È quindi da premiare l’atteggiamento di chi non si conforma a quello che viene venduto come un “sano” stacanovismo, poi sempre finalizzato al mero profitto, non cadendo in questo circolo vizioso che illude l’uomo di potersi divertire per assurdo solo nel momento della vecchiaia, sognando la pensione in una meta esotica che, nella peggiore, ma anche più realistica, delle ipotesi neanche sarà in grado di raggiungere, ammuffendo nelle quattro mura di un appartamento in centro perché troppo affezionato all’idea della propria carriera. Qui l’individuo è preda di una romanticizzazione e di un’idealizzazione della fatica lavorativa, che, in chiave meritocratica, infonde una nostalgia per l’impressione di essere utile alla società.
Dunque, è ora di sopprimere quel senso di colpa ingiustificato innestato da un tossico senso del dovere, che ostacola la creatività e che porta con sé la noia. Quindi sì, rifiutiamo di inebetirci, di ammorbarci in un lavoro che non ci appartiene, ma prendiamoci un momento per contemplare la volta stellata dell’esistenza: facciamo esperienza di noi stessi, sviluppiamo l’immaginazione e godiamoci quei piccoli istanti di libertà, perché liberamente li abbiamo scelti e liberi ci rendono. Camminiamo a passo lento, seguendo lo scorrere pacato della vita, e, citando De André ne “Il Fannullone”, “Non si risenta la gente per bene se non mi adatto a portar le catene”.
04/01/2024
Le parole che suonano bene
La poesia è morta ormai! Forse è vero, o forse dobbiamo solo imparare a conoscerla anche sotto una prospettiva diversa, sotto una luce tutta nuova…
I testi delle canzoni, i lyrics, possono essere un mero accompagnamento, di secondo piano, rispetto alla parte musicale protagonista, ma possono anche prendersi tutta la scena. Vorrei quindi attraversare con voi dei testi che a mio parere (e non solo, in alcuni casi) si possono definire come nuova poetica per il loro valore letterario o culturale.
Partiamo dalle basi e dal nostro Bel Paese: possiamo vantarci di un panorama vastissimo per quanto concerne cantautori e cantanti. Gaber, De Andrè, Gino Paoli, Battisti, Guccini, Battiato… sono solo alcuni esempi di uomini che sono riusciti a trasportare poesia, arte, cultura, filosofia, amore, tematiche sociali e tutto questo, spesso, in soli tre minuti di brano.
Anche se il nostro maggio
Ha fatto a meno del vostro coraggio
Se la paura di guardare
Vi ha fatto chinare il mento
Se il fuoco ha risparmiato
Le vostre Millecento
Anche se voi vi credete assolti
Siete lo stesso coinvolti
-Canzone del maggio, Fabrizio De Andrè
Mi son svegliato solo, poi ho incontrato te
L’esistenza, un volo diventò per me
E la stagione nuova dietro il vetro che appannava, fiorì
Fra le tue braccia calde anche l’ultima paura morì
Io e te, vento nel vento
Io e te, nodo nell’anima
-Vento nel vento, Lucio Battisti
Sulla musica italiana e il suo impatto sulla nostra società, dovremmo soffermarci molto più a lungo, per quanto ci sarebbe da dire, ma tutti noi sappiamo della sua importanza e della grandezza degli autori citati e anche di quelli su cui, purtroppo, non mi sono potuta soffermare. Infatti, vorrei muovermi oltre e provare a trovare la poesia anche dove che non è così scontato che ci sia.
Andiamo avanti con il nostro viaggio nella storia della musica; pensiamo al rock che nasce e si sviluppa specialmente in Inghilterra. Sono anni in cui sempre più diveniva principale un’attenzione sulla musica e non sul testo, anni in cui l’assolo del basso o della chitarra elettrica era fondamentale per un brano, anni in cui emergevano band come i Rolling Stones, i Pink Floyd, i Led Zeppelin, gli Eagles, i Doors… e tanti altri.
Considerate queste premesse, nel 1973 i Pink Floyd fecero uscire l’album che li rese famosi al grande pubblico e che tutt’ora è un pilastro della cultura rock: The Dark Side of The Moon, di cui a marzo abbiamo festeggiato i 50 anni. L’importanza dei testi dell’ottavo album della band Britannica è tutt’altro che secondaria. I Pink Floyd ci vogliono raccontare una storia con The Dark Side of The Moon e non lo fanno solo con la musica, ma con le parole. Trattano tematiche esistenziali, sociali e politiche e il mio consiglio più spassionato è di vivere l’esperienza di ascoltare le canzoni dell’album in ordine per comprenderne a pieno il significato. Sebbene l’album sia uno delle fondamenta del rock psichedelico, la band attraverso la luna e il suo lato oscuro, per poi concludere con la sua eclissi, Eclipse, racconta la vita dell’uomo, la sua genesi, le sue esperienze complicate sulla terra, per poi arrivare al suo destino, l’eclissarsi.
And you are young and life is long
And there is time to kill today
And then one day you find
Ten years have got behind you
No one told you when to run
You missed the starting gun
-Time, Pink Floyd
And if the cloud bursts thunder in your ear
You shout and no one seems to hear
And if the band you’re in starts playing different tunes
I’ll see you on the dark side of the moon
-Brain damage, Pink Floyd
Procediamo con un altro salto temporale, prima del nostro millennio, per scovare ancora qualche poeta nascosto sotto il viso del cantante. Siamo sul cavalcare degli anni 90’ e sulla scena musicale è attivo un cantautore americano, della California, Jeff Buckley. Non voglio dilungarmi con premesse sull’artista, a mio parere, in questo caso, parlano i suoi testi, poesie che danzano sulle note musicali.
It’s never over
All my riches for her smiles
When I’ve slept so soft against her
It’s never over
All my blood for the sweetness of her laughter
It’s never over
She is the tear that hangs inside my soul forever
-Lover, you should’ve come over, Jeff Buckley
There’s the moon asking to stay
Long enough for the clouds to fly me away
Oh, it’s my time coming, I’m not afraid
Afraid to die
My fading voice sings of love
-Grace, Jeff Buckley
Eccoci giunti al famigerato 21esimo secolo. Non potevo non citare Lana Del Rey. L’artista, con un’aurea malinconica e alternativa, si ispira infatti a nomi noti della letteratura, come Sylvia Plath, riuscendo ad avere una grandissima influenza, specialmente sulle giovani donne della nostra generazione.
So, kiss the sky and whisper to Jesus
My, my, my, you found this, you need this
Take a deep breath, baby, let me in
You lose your way, just take my hand
You’re lost at sea, then I’ll command your boat to me again
-Mariners Apartment Complex, Lana Del Rey
There’s a new revolution, a loud evolution that I saw
Born of confusion and quiet collusion of which mostly I’ve known
A modern day woman with a weak constitution, ‘cause I’ve got
Monsters still under my bed that I could never fight off
-Hope is a dangerous thing for a woman like me to have, Lana Del Rey
Anche in Italia non tutto è perduto, basta cercare e saper guardare negli angoli più nascosti. Io circa due anni fa mi imbattei per caso in un gruppo milanese, l’Officina della Camomilla. Difficile etichettarli in un genere, forse non è mio compito farlo. Le loro canzoni dalle melodie particolari, vengono incorniciate in testi ancor più eccentrici, che hanno la capacità di affrescare un’immagine pittoresca e suggestiva. Provate ad ascoltare e vi sentirete risucchiati dentro un quadro.
Io sono sdraiato in un vagone
Ed ho bevuto tutti i fiori della finestra
E penso al mio cappotto fuori da tutte le stagioni
Alle tue gatte avvelenate, chiuse a chiave
Agli ottocento volteggi malviventi che sai fare
-Piccola sola e triste, L’Officina della Camomilla
Prendi la macchina e tirami via da sotto al tavolo
E portami nel cinema più lontano.
Il finestrino è un film horror
Ma nel cruscotto ci sono i giochi del giornale
Di profilo sembri Monica Vitti
Con il tuo walkman verde acqua e un fiore per coltello
E dietro di te c’è sempre brutto tempo
-Un fiore per coltello, L’Officina della Camomilla
Infine, facciamo un ultimo salto, con un altro artista, forse a primo impatto apparentemente lontano dal mondo della letteratura, perché appartenente alla cultura hip-hop/rap. Tuttavia, se pensate che Kendrick Lamar sia solo una serie di barre su una base prodotta bene, vorrei provare a farvi cambiare idea. L’impatto che i suoi testi e il suo pensiero hanno avuto sulla comunità nera in America è veramente straordinario. Lamar non vanta solo diciassette Grammy, ma anche di un premio Pulitzer per il suo album DAMN, primo artista non nella categoria musica classica o jazz a conseguirlo. I testi dell’artista sono stati capaci di muovere le masse, di rappresentare una comunità e di unirla e di portare ancora di più alla luce problematiche come razzismo e odio sistematico. Il suo è un rap che non ha paura di dire la verità, sia sulla sua comunità che su se stesso, cosa di cui, al giorno d’oggi, abbiamo un disperato bisogno.
Alls my life I has to fight, n***a
Alls my life
(…)
But if God got us, then we gon’ be alright
(…)
Do you hear me? Do you feel me?
We gon’ be alright
-Alright, Kendrick Lamar
Divenuta inno del movimento Black Lives Matter
I’m talking fear, fear that my humbleness is gone
I’m talking fear, fear that love ain’t livin’ here no more
I’m talking fear, fear that it’s wickedness or weakness
Fear, whatever it is, both is distinctive
Fear, what happens on Earth stays on Earth
And I can’t take these feelings with me so hopefully they disperse
-FEAR, Kendrick Lamar
E’ quindi innegabile che l'importanza culturale e letteraria dei testi musicali sia un fenomeno intramontabile che ha plasmato e continua a plasmare le varie generazioni. I testi musicali rappresentano un ponte tra le emozioni e l'intelletto, una forma d'arte che supera i confini delle lingue e delle culture. Attraverso le parole cantate, gli artisti hanno dato voce a speranze, sogni, paure, idee, hanno ispirato movimenti politici e sociali, hanno offerto consolazione in momenti di dolore e solitudine.
In un mondo in costante evoluzione, i testi musicali continuano a essere una fonte di ispirazione e riflessione per le generazioni future. La loro capacità di catturare l'animo umano e raccontare storie rimarrà un pilastro indelebile della cultura e della letteratura nel corso dei secoli a venire.
Ogni generazione ha trovato nei lyrics una riflessione di sé stessa e delle sfide del proprio tempo. Questa continuità e adattabilità della musica nel corso dei secoli testimoniano la sua immensa importanza nella nostra storia culturale e letteraria. La musica non è solo un mezzo di intrattenimento, ma anche un mezzo di comunicazione profondo e significativo, un specchio della società e del mondo in cui viviamo, una vera e propria forma di poesia.
E per voi? Quali sono stati o sono gli artisti che più vi hanno catturato con le loro parole?
06/11/2024