“L’Universo non è altro che un sogno che sogna sé stesso.”
-Deepak Chopra.
Figli dell’Universo che ci circonda, siamo fatti della stessa sostanza delle stelle che vediamo la notte.
Siamo il risultato dei miliardi di anni di evoluzione dell’Universo che si affaccia sul suo passato, come se cercassimo di comprenderlo e di capire qual è il nostro ruolo all’interno del Cosmo.
Il primo passo per comprendere l’Universo è osservarlo; tuttavia ciò che ci circonda non è sempre visibile, o perlomeno non nella sua vera forma: diversi corpi celesti ci appaiono, almeno in parte, in bianco e nero, senza presentare i colori sgargianti che siamo soliti vedere nelle foto scattate dalla NASA (National Aeronautics and Space Administration) o dall’ESA (European Space Agency).
Quindi, come riusciamo a osservare il Cosmo attorno a noi? Da dove provengono questi colori? Come vengono ottenute le immagini in questione?
Sapevate che attorno a Giove ruotano quattro fasce di anelli? Non saranno grandi come quelli di Saturno ma sono comunque anelli formati da polveri e detriti, e, a differenza degli anelli del vicino gassoso, quelli di Giove non riflettono la luce solare, rimanendo così nascosti.
Tuttavia, quando osservati attraverso frequenze luminose infrarosse, invisibili all’occhio umano, gli anelli di Giove splendono.
Come appena accennato, dato che l’essere umano percepisce solo una minuscola frazione di frequenze emesse dai raggi di luce, di conseguenza anche la nostra percezione dei colori è fortemente ristretta, confinata agli estremi dal violetto e dal rosso; così, i colori all’esterno del nostro campo visivo ci appaiono in scala di grigi.
In realtà, tutto ciò che ci circonda viene recepito dal cervello come in bianco e nero, ma attraverso delle cellule dette “coni”, divise in tre gruppi a seconda della lunghezza d’onda che trattano, si forma nel cervello l’immagine a colori.
Anche per le fotografie del cosmo avviene un processo simile: quelle scattate dal telescopio spaziale Hubble, ad esempio, sono tutte in una scala di grigi poichè la sua funzione primaria è quella di misurare l’intensità luminosa dei corpi celesti, che appare più chiaramente in bianco e nero.
I colori sono aggiunti in seguito attraverso diversi metodi: uno dei processi è chiamato “filtraggio a banda larga” in quanto vengono prese di mira tre lunghezze generali della luce visibili all’occhio umano, corrispondenti ai tre colori alla base del sistema cromatico additivo: rosso, verde e blu.
Così, facendo uso di filtri che permettono il passaggio solo di una certa lunghezza d’onda alla volta, vengono scattate tre immagini che una volta colorate grazie a software come Photoshop, sono sovrapposte l’una sull’altra, dandoci come risultato una foto nitida e a colori!
Tuttavia, le immagini non sono colorate solo in base a come l’occhio umano le vedrebbe se fosse potente quanto un telescopio spaziale… gli scienziati fanno uso dei colori anche per identificare come diversi gas interagiscono tra loro nell’Universo per andare a formare galassie e nebulose.
Telescopi spaziali come l’Hubble e il James Webb, facendo uso di accessori che permettono la visione di lunghezze d’onda invisibili all’occhio umano, sono capaci di tracciare delle frequenze di luce provenienti da singoli elementi e usare i colori in cui sono visibili naturalmente per evidenziarne la presenza in un’immagine, seguendo il metodo chiamato “filtraggio a banda stretta”.
I principali elementi presi in analisi sono idrogeno, zolfo e ossigeno, i tre più importanti componenti nella formazione delle stelle. Possiamo osservare questo processo in immagini famosissime come “I Pilastri della Creazione”, foto scattata dall’Hubble, nella quale distinguiamo degli immensi agglomerati verticali di gas e polveri simili a dei “pilastri”, come suggerisce il nome, che formeranno col passare del tempo nuovi sistemi solari.
Tuttavia queste immagini non rispecchiano i loro veri colori… sono più delle mappe colorizzate, perché idrogeno e zolfo sono visibili naturalmente nella luce rossa, mentre l’ossigeno in una frequenza tendente al ciano, per questo motivo colorando le immagini seguendo quest’ordine si otterrebbe come risultato una foto particolarmente rossastra, non utile per un’analisi visiva dei gas.
Così gli scienziati si trovano costretti a separare lo zolfo dall’idrogeno, riassegnando gli elementi in base alla loro lunghezza d’onda: questo significa che all’ossigeno, che ha la frequenza più alta, verrà assegnato il colore blu, all’idrogeno il verde e allo zolfo, che ha la frequenza più bassa, il rosso; ottenendo in questo modo un’immagine pienamente a colori.
Un altro elemento molto importante da considerare quando si scatta un’immagine astronomica è l’uso di accessori allegati alle fotocamere dei telescopi che permettono la visione di luce infrarossa e ultravioletta, come già introdotto precedentemente.
Ad esempio il JSWT (James Webb Space Telescope), telescopio spaziale che orbita il nostro pianeta a un milione e mezzo di km di distanza dal recente 25 dicembre 2021, è fornito di quattro accessori che gli permettono di vedere lunghezze d’onda a noi invisibili, in questo modo è possibile vedere per esempio cosa si trova celato da dense nuvole di polvere e detriti, permettendoci così di osservare un’infinità di ammassi stellari, o come nel caso degli anelli di Giove, corpi che non splendono nella luce a noi visibile.
La sua funzione appunto è quella di analizzare approfonditamente il cosmo grazie alla modalità infrarossa, analizzando la formazione delle prime galassie, stelle e pianeti extrasolari.
Un’altra capacità del JWST è quella di identificare determinate molecole osservando l’atmosfera di un pianeta, caratteristica che è risultata fondamentale per la recente scoperta di diossido di carbonio (comunemente chiamato “anidride carbonica”) nell’atmosfera di un esopianeta (pianeta esterno al Sistema Solare), molecola che sulla Terra viene prodotta come scarto da esseri viventi marini.
Il suo collega invece, l’Hubble, presenta tecnologie meno all’avanguardia in quanto più datato, il suo lancio infatti risale al 1990, quattro anni dopo il disastro del Challenger, nel quale morirono sette astronauti.
Il telescopio rappresenta così per la NASA un modo per redimersi, anche se rivelatosi inizialmente un fallimento per via di una minuscola imperfezione; tuttavia tre anni dopo, in seguito a una difficile manovra di manutenzione condotta nello spazio, risultò un capolavoro ingegneristico che apriva le porte a un mondo totalmente nuovo.
Lo scopo dell’Hubble era scoprire l’età dell’Universo e grazie a lui attualmente sappiamo che è di circa 13.8 miliardi di anni.
In sintesi, l’essere umano è fornito di macchine potentissime come il cervello e gli occhi, che tuttavia non bastano in alcuni momenti dove ci si confronta con qualcosa di più grande come l’Universo, e, per far fronte a questo problema, dove non arriva l’uomo arrivano le sue invenzioni, che rendono visibile l’invisibile e possibile l’impossibile.
04/01/2024