Nel corso della sua opera Studi sull’Isteria, Freud descrisse un fenomeno curioso: la sua paziente era spaventata dalla sua tendenza a trasferire sulla persona del medico le rappresentazioni penose che emergevano dall’analisi. Infatti, questa – attraverso il metodo delle associazioni mentali – pare si accorgesse che alcune situazioni a lei precedentemente accadute si riproponessero nel rapporto che aveva con il neurologo tedesco durante le sedute. Allora il padre della psicoanalisi teorizzò uno dei più importanti concetti della sua scienza: il transfert. Ovvero, un fenomeno che consiste nell’attaccamento del paziente all’analista e che si manifesta o con amore e sentimenti positivi o con odio e sentimenti negativi; tale relazione si presenta, nei confronti dello psicologo, come una ripetizione del primitivo attaccamento al padre o alla madre. È, quindi, un processo utile alla consapevolezza del paziente di come i propri sviluppi infantili abbiano ripercussioni sull’individuo adulto. Ecco perché, durante l’analisi, la persona sente il bambino che è in sè emergere, e poi finire in contrasto con l’individuo adulto, così da riprodurre il conflitto tra conscio e inconscio, che, stavolta, sarà sotto gli occhi dell’analizzato, il quale potrà acquisire coscienza – con l’aiuto dell’analista – dei propri problemi irrisolti.
Nel corso del tempo molte variazioni di questo fenomeno psichico sono emerse, sostituendo la versione originaria di Freud o semplicemente ottimandola con modifiche. Un aspetto comune a tutte le successive revisioni è l’ambito sulle quali queste si siano focalizzate. Questo punto comune è proprio il rapporto che lega il paziente al medico, in modo tale che il processo di transfert funga da strumento attraverso cui compiere l’analisi. Di conseguenza si può affermare il carattere funzionale con cui il transfert è stato generalmente indicato.
Un aspetto che, invece, è bene porre in risalto è il vedere lo stesso processo psichico applicato alle relazioni umane. Strachey, uno psicologo inglese, osservò che, se il paziente proiettava le sue immagini primitive e ormai introiettate1 sull’analista, esso diventava come una qualsiasi persona incontrata dal paziente nella vita reale.
È perciò possibile ravvisare tale processo psichico ovunque, in qualsiasi rapporto interpersonale e non limitato a uno studio a quattro pareti.
Viene allora la questione principale: quale ruolo può avere esso nella società?
Da ciò che ho evidenziato precedentemente si può affermare che il transfert sia un rapporto di dipendenza in cui il nostro “essere bambino” si affida in tutto e per tutto, o almeno quasi, al medico, e dunque, estendendo il fenomeno alla quotidianità possiamo identificare il nostro affezionarci o distaccarci come un trasferimento del nostro rapporto con i genitori – a sua volta tradotto come una ricerca di sicurezza, dipendenza al fine di fronteggiare i pericoli della vita – a quella persona. È così dimostrato che quella sensazione di ammirazione, di appartenenza verso un individuo, un personaggio di una serie TV o di un film, un leader politico nient’altro è che la proiezione del proprio bisogno di sentirsi sicuri. Riporto alcuni passi di uno psicologo tedesco, Erich Fromm, il quale sostiene tale tesi:
«Anche l’adulto è debole e, al pari del bambino, è alla ricerca di qualcuno che lo faccia sentire deciso, sicuro, in salvo, ed è per tale ragione che desidera ed è proclive a venerare personaggi che sono, o che volentieri si prestano a essere considerati, salvatori e protettori anche se magari sono degli squilibrati». (da Grandezza e limiti del pensiero di Freud, Mondadori, Milano 1979)
Sia l’adulto che il bambino, afferma Fromm, vivono in una condizione di instabilità e di pericoli dai quali tentano di fuggire. Questo meccanismo di transfert, quindi, provoca dipendenza, poiché affida la propria autonomia a chi, all’apparenza, pare poter soddisfare i nostri bisogni facendoci sentire protetti. È chiaro come una persona non potrà mai svolgere questa mansione per nostro conto e, dunque, nemmeno potrà assicurarci la salvezza dai pericoli che la vita inevitabilmente ci pone davanti.
È necessario, obbligatorio, cardine prendere consapevolezza dell’esistenza di questo processo psichico che può rendere estranea a noi la sopravvivenza e la convivenza nel mondo conducendoci alla subordinazione. La conseguenza più grave di un simile attaccamento è che nel momento in cui si perde la figura di riferimento, si perde anche se stessi giungendo, così, a uno stato di estrema confusione e disorientamento.
1con questo termine Strachey si riferisce alle prime immagine che abbiamo dei nostri genitori
L’arma per rispondere a questa minaccia interna è il rendersi conto della presenza del transfert e dubi tare dell’ammirazione o dell’odio a priori verso una persona, nella maggior parte dei casi, ancora poco conosciuta.
10/07/2024