Fascismo, fascismo e ancora fascismo. Ne parliamo quotidianamente, ma non tutti ricordiamo il buio periodo in cui è nato: il Biennio Rosso. I socialisti erano portatori di una “buona novella” o anch'essi alimentavano la violenza in Italia? Nelle ultime settimane, gli italiani hanno rivissuto le tensioni del 1919- 1920 con M - Il Figlio del Secolo, una narrazione unilaterale che si è concentrata esclusivamente sulle brutalità squadriste. Tuttavia, come recita il detto "le cose si fanno in due", l'alba del fascismo ha coinciso con un altro capitolo oscuro della nostra storia: il biennio rosso. Di fronte alla miseria dell'Italia post-bellica, moltissimi uomini hanno cercato la soluzione in una rivoluzione armata contro le fabbriche, i borghesi indifesi e un governo fantoccio.
Tutto è iniziato a Bologna nel 1919, durante il congresso socialista, noto per l'adesione all'Internazionale Comunista. Il Partito Socialista è diventato sempre più popolare, in particolare nelle zone industriali del Nord Italia. Era arrivato il momento di agire per costruire una nazione proletaria, ma come? Si sono confrontate tre mozioni, presentate rispettivamente dal capo dei massimalisti Giacinto Menotti Serrati, da Costantino Lazzari e Amedeo Bordiga. Unanimemente, tutti hanno ritenuto che democrazia e socialismo fossero incompatibili, e quasi tutti hanno concordato nel seguire il modello sovietico. I riformisti di Turati, che sostenevano un cambiamento senza rivoluzione, sono stati espulsi dal partito. Turati non credeva nell'azione diretta, nell'assalto al Palazzo d'Inverno all'italiana, ma in una graduale conquista dei poteri pubblici. La risposta di un esponente massimalista a Turati è stata: "Voi siete fuori dai vostri tempi, siete fuori dalla realtà". A seguito di una votazione, è stato deciso che la violenza sarebbe stata il mezzo dei socialisti.
Da quel momento, tutti dovevano ribellarsi al padrone, anche chi non lo voleva. In Emilia-Romagna, la classe operaia, in particolare nel Parmense e nel Ferrarese, ha preso il controllo di alcuni comuni. Il sindaco non aveva più voce in capitolo; a comandare c'erano le leghe rosse. Se qualcuno non era d'accordo, nei migliori dei casi veniva mandato in esilio o veniva privato del diritto di avere rapporti sociali con la comunità, e costretto, quindi, ad abbandonare la propria casa. Le vittime principali sono stati i contadini, che lavoravano ogni giorno per sfamare le proprie famiglie, un "crimine" imperdonabile per la lega locale. Quando i contadini non aderivano a uno sciopero, ovvero si comportavano da "crumiri col padrone", venivano marchiati sulla mano dai socialisti. Nei giorni seguenti, i socialisti tornavano a controllare il marchio per verificare se fosse intatto o meno, così da accertarsi che avessero lavorato e obbedito agli ordini; nel caso contrario, venivano picchiati duramente. Frequenti erano anche le violenze contro i veterani della Grande Guerra. Un esempio è quello di un ex-soldato venticinquenne, zoppo e con il braccio fasciato, che si diresse verso un servizio della Misericordia a Firenze per ricevere aiuto. Alcuni socialisti lo videro e gli gridarono: "Assassino, infame!". Gli saltarono addosso, lo presero a cazzotti, lo riempirono di sputi e gli infilano le mostrine in bocca.
La vittima più conosciuta del biennio rosso è stato Giovanni Berta. Il suo omicidio è stato l'anticamera della guerra civile tra fascisti e comunisti a Firenze. Giovanni, detto "Gianni", stava camminando sull'odierno Ponte alla Vittoria sull'Arno. Un gruppo di socialisti lo accerchiò e gli pose una domanda: "Sei fascista?" Lui confermò senza esitazione, e immediatamente lo travolsero con violente percosse, comprese sprangate. Gli spezzarono le dita con le scarpe e lo colpirono alla testa con un oggetto di ferro. Solo alla fine lo gettarono nell'Arno. Non morì per la sua incapacità a nuotare, poiché era stato in Marina per anni e l'acqua non era profonda, ma per una perdita di sensi. Sono passati centoquattro anni e i colpevoli sono ancora sconosciuti. Un canto dell'epoca recitava: «Hanno ammazzato Giovanni Berta, figlio di pescecani, viva quel comunista che gli pestò le mani!»
In conclusione, è importante domandarsi: tutti quanti hanno fatto i conti con la storia? L'uomo ha sempre il bisogno di identificare una fazione come profondamente vittima e l'altra come profondamente carnefice, quando le guerre si combattono con gli stessi mezzi. L'Italia guarda al Novecento come un’obbligatoria presa
di posizione, "Tu da che parte stai?", e non come un periodo storico. Questa lotta alle ideologie ci ha fatto solo allontanare dalla verità dei fatti e di conseguenza all'ignoranza nei confronti dei più grandi retroscena che hanno portato il nostro paese alle tragedie che conosciamo. Avremo mai uno Scurati che criticherà il Biennio Rosso, le brutalità delle Leghe Rosse e il loro sogno della dittatura del proletariato?