Un volo aereo: l’Oceanic 815.
Lo schianto, i sopravvissuti, una misteriosa isola apparentemente deserta: si presenta così agli spettatori il famoso sceneggiato creato da J.J. Adams. Lost intreccia numerosi argomenti catalogabili all’interno di filoni riconoscibili ai più: le eterne lotte tra Bene e Male, tra Fede e Scienza e, in particolar modo, tra Fato e Libero Arbitrio.
Il tema del Libero Arbitrio è stato affrontato dal filosofo tedesco Immanuel Kant nella “Critica della Ragion Pratica” del 1788, nonostante l’argomento fosse stato già accennato nella “Critica della Ragion Pura” (1781). Nel primo libro il filosofo parla di come i fenomeni siano strettamente legati ad alcuni meccanismi causa-effetto, ma fa notare anche come le cose di per sé (e di conseguenza anche gli uomini come soggetti) siano libere di svincolarsi da legami di questo genere. Nella seconda opera Kant approfondisce l’argomento; è ragionevole credere di essere liberi, nonostante non sia scientificamente possibile provare una cosa del genere. Il discorso è molto semplice: dovendo agire, le nostre azioni implicano una possibilità di scelta. Quest’ultima dipende dal fine a cui vogliamo arrivare.
L’essere umano è un individuo razionale autocosciente con una scelta di libertà “impura”; nella “Metafisica delle Morali” Kant dice: “(…) la base determinante della facoltà del desiderio si trova all’interno della ragione del soggetto ed è chiamata volere , considerato non tanto in relazione all’azione, ma piuttosto in relazione alla base che determina la scelta dell’azione (…)”. Per poter considerare una volontà “libera”, dobbiamo intenderla capace di agire senza alcuna struttura
causale. Dunque, un libero arbitrio dovrebbe agire sotto leggi proprie, che esso dà a sé stesso. Quanto è facile parlare di libera scelta? E quanto, nell’effettivo, le scelte che spesso tendiamo a giudicare sono libere in tal senso? La dicotomia Fato/Libero Arbitrio innesca inevitabilmente scontri morali tra vari personaggi. John Locke, un uomo anziano con un passato travagliato alle spalle, crede che sia stato il destino ad
averlo portato sull’isola e che ci sia un disegno dietro tutte le vicende che gli sono capitate e che gli capiteranno. Non a caso la frase principale che viene attribuita al suo personaggio, se non la frase più famosa dell’intera serie, è “Non ditemi che non lo posso fare ”; Locke, condizionato da una grave invalidità per un certo periodo di tempo, ricevette spesso rimproveri da parte di altre persone che continuavano ad impedirgli di fare ciò che lui credeva di essere destinato a fare, si percorrere strade che lui riteneva giusto dover percorrere, in modo da assecondare il corretto andamento del suo destino. Considerare un personaggio come John Locke un semplice uomo di fede è estremamente riduttivo, ma necessario per cogliere le differenze con un altro personaggio: Daniel Faraday (omonimo del famoso fisico), il quale crede che l’uomo, pur non potendo cambiare il passato, possa dominare sulla natura e agire su ciò che lo circonda, in quanto libero. Il pensiero filosofico di Kant indaga anche, nello specifico, la predisposizione che ha l’uomo nello scegliere di compiere sia azioni buone che azioni cattive. Presupponiamo che un uomo, a causa
della sua debolezza, abbia scelto di cadere in una condizione di cattiveria morale. Tutto ciò non implica che egli debba rimanere in quella determinata condizione per sempre; sarà infatti in grado di tornare al bene con fermezza e sacrificio. Compiere il male, secondo Kant, significa scegliere di allontanarsi dalla legge morale più importante, quella del dovere. Ciò accade a causa di tre debolezze umane: la fragilità, l’impurità e la corruttibilità. Queste tre debolezze chiarificano tutto il pensiero di Kant: l’essere umano, oltre che essere dotato della ragione, è dotato anche dei sensi che lo spingono ad allontanarsi dal dovere.
Lost non manca di riferimenti a questa tematica, importante per via di due personaggi che rimarranno avvolti nel mistero fin quasi al termine dell’ultima stagione: Jacob e MIB (Man in Black), la personificazione del bene e del male; il primo crede fermamente nel progresso morale dell’umanità e, pur essendo onnipotente, non convince né con i miracoli né con la forza. Non ha secondi fini e proprio per questo non premia nessuno all’istante, pensando che il bene debba essere compiuto per una semplice predisposizione morale. Il secondo, al contrario, disprezza l’umanità; ritiene che gli umani siano condannati ad essere avidi, aggressivi, corrotti e distruttori. Ama il potere ed il controllo perché gli consentono di ottenere qualsiasi cosa lui voglia. Jacob e MIB, fratelli di sangue, pur avendo vissuto insieme da ragazzi, hanno compiuto delle scelte che li hanno condotti, una volta cresciuti, su strade diametralmente opposte. Le teorie sui destini degli uomini sono affascinanti. Che esista un invisibile filo di colore rosso o meno, talvolta è bene credere di essere padroni di sé stessi e poter plasmare con la sola volontà l’intero corso della propria vita. Vorrei a tal proposito, per concludere, riportare queste parole che Daniel Faraday pronuncia sul finire della serie: “Noi possiamo cambiare le cose. Ho studiato fisica relativistica per tutta la vita; l’unica costante certa e assoluta è che non si può cambiare il passato. Quel che è successo è successo. E poi, finalmente, ho avuto un’intuizione. Avevo passato così tanto tempo a concentrarmi sulle costanti da essermi dimenticato delle variabili. E sapete quali sono le variabili di quest’equazione? Siamo noi, noi siamo le variabili! Noi pensiamo ragioniamo, facciamo delle scelte, abbiamo il libero arbitrio. Noi possiamo cambiare il nostro destino ”.