Recensione del film “Ciao Bambino” di Edgardo Pistone
Marco Cacciatore
Marco Cacciatore
"Ciao Bambino" è un esordio, e si sente. Eppure è un esordio bello, fatto bene, con un'idea alla base e con delle intenzioni ben chiare. In un certo senso, la storia non è poi così nuova: un bravo ragazzo in un mondo cattivo. Detto così non sembra niente di entusiasmante o originale, eppure ha una sua forza espressiva, in parte anche legata alla scelta degli attori, anche loro per lo più emergenti: certo, c'è sicuramente dietro anche una questione economica, ma in ogni caso la presenza di attori alla loro prima esperienza cinematografica ha avuto un influsso positivo sul film, conferendogli un grande senso di sincerità che rende la pellicola genuina e spontanea.
Da un punto di vista tecnico non ho molto da dire, né, in realtà, ho le conoscenze necessarie per fare una critica approfondita. Quello che so è che mi è piaciuto quasi tutto quello che ho visto. C'è stato forse qualche momento di dialogo che avrebbe potuto essere scritto meglio, qualche battuta si sarebbe potuta tagliare, ma, in fin dei conti, la maggior parte delle interazioni tra i personaggi funziona bene e non risulta banale. Mi è piaciuto molto il personaggio del padre e anche Vittorio, entrambi interpretati molto bene. Anche le musiche funzionano... l'unico piccolo rimpianto forse é nel finale, il quale sarebbe stato più incisivo senza la lettura da parte della ragazza della lettera, chiudendosi invece su quell'ultima inquadratura.
Edgardo Pistone ci regala un'opera prima che lascia ben sperare per i suoi prossimi progetti. È evidente la volontà di costruire una narrazione in cui Napoli non è la solita caricatura fatta di stereotipi. In un'intervista fatta da Artesettima, Pistone dichiara: "Ciao Bambino in una Napoli contemporanea si posiziona in una posizione abbastanza inedita, perché prova a raccontare Napoli attraverso un territorio inesplorato, provando ad avere una visione della stessa città senza calcio, senza cibo, senza troppo sole e senza Vesuvio."
"Ciao Bambino", come si capisce proprio dal titolo, è un film che parla del dover diventare adulti. Attilio, il protagonista, ha 17 anni e possiede ancora una sua innocenza, una sua ingenuità, ma vive in una realtà in cui queste non sono altro che debolezze. Attilio è ingenuo perché pensa di potersi innamorare di una prostituta e di poterla salvare, è ingenuo perché pensa di poter saldare i debiti del padre e di poter salvare quest'ultimo e, infine, è un bambino, perché pensa di poterlo fare senza conseguenze.
Questo film ci mostra quegli spazi urbani che sono considerati "spazi vuoti", ovvero quegli spazi che, per la maggior parte delle persone, me compreso, sembrano non esistere, come se al loro posto non ci fosse altro che il vuoto, degli spazi fatti di sola assenza. Pistone riesce a catturarli e a renderli reali, solidi e pieni: si tratta di spazi in cui il concetto di eredità è ancora importante (mentre altrove è stato dimenticato), spazi in cui contano ancora valori come la famiglia e il rapporto con il quartiere. Ambienti, insomma, in cui esistono ancora delle dinamiche sociali ben definite, da cui non si può e non si deve evadere (come invece prova a fare Attilio).
Insomma, sono felice perché questo film, assieme a Vermiglio di Delpero, mi dà speranza per il futuro del cinema italiano.