Titoli di testa. Siamo nel 1960 circa, nella stazione di Milano. Su un treno si legge “Bari – Milano” ed echeggia sui fumi dei treni la folla che cammina la tuonante e malinconica “O’ Paese Mio”. Sin dai primi fotogrammi Visconti lascia le prime tracce di una storia senza tempo, intrisa fortemente nelle pagine del nostro passato di Italiani, ma che ancora, su diversa scala, appartiene a molti: l’abbandono della propria terra per la ricerca di un futuro migliore.
Protagonista è la famiglia Parondi, che a seguito della morte del padre, lascia la Lucania per cercare fortuna, raggiungendo il figlio maggiore Vincenzo a Milano.
Visconti racconta la parabola dell’immigrato con una semplicità autentica che quasi rimanda ai motivi veristi verghiani, dipingendo le scene di chiaroscuri tra risate e delusioni, vittorie e sconfitte, sia a livello sociale che nella sfera più intima e individuale dei protagonisti, specialmente di Rocco, nella loro complicata integrazione in quel nuovo universo così diverso dal loro.
E’ difficile parlare di un film vecchio, senza avere un po’ la paura di essere banale o non all’altezza. Ammetto che molte volte alcuni capolavori del secolo scorso li ho seguiti con fatica, complice ormai la nostra totale perdita del senso di attesa, del prendersi i giusti tempi, dell’assaporare i secondi di silenzio nelle scene, anche a causa della maggior parte dei prodotti streaming di adesso.
Ma questa volta invece, qualcosa è cambiato, e forse questo film mi aprirà una nuova prospettiva sul mondo del cinema. Infatti, posso dire che “Rocco e i suoi fratelli” mi è entrato nel cuore, ha catturato la mia attenzione facendomi riscoprire un amore per i dettagli, per le scene che si allungano più di quanto noi siamo abituati a vedere e per i silenzi. Scena per scena, la pellicola risucchia nel corso degli eventi, immergendo lentamente lo spettatore in un immedesimazione graduale ma sempre più profonda: non ero più nel 2024, quasi mi sentivo anche io nel 1960, ho sentito scorrere nelle mie stesse vene la speranza, la nostalgia, la rabbia per un destino che magari i personaggi avrebbero voluto scrivere in modo diverso. Visconti ha sviluppato tutto ciò lavorando minuziosamente su tutte le componenti artistiche che caratterizzano un film. Solo la fotografia, la scenografia parlano da sé, narrano un epos: in ogni scena l’occhio ha il tempo di osservare e rimanere affascinato dai particolari, dai muri di casa Parondi pieni di stoviglie ai poster nella palestra di pugilato, per arrivare ai silenzi della notte in cui si odono i passi o l’acqua che scorre dalla fontanella. Milano, insieme ai fratelli, è protagonista del film. E’ la città che accoglie ma che non perdona, che fa rinascere, ma che distrugge. Ogni scena all’aperto è caratterizzata dai rumori dell’industrializzazione, si vedono macchine, gru, si sentono i clacson, i chiacchiericci della folla, gli operai con la divisa Alfa Romeo. E’ frenetica, rappresenta l’eccitazione per la modernità, l’entusiasmo di una nuova vita, è il perfetto dipinto di un’Italia che cerca di riscattarsi. Eppure dietro questa frizzante realtà si nasconde il lato più oscuro: quello della solitudine, di una nuova casa che non sarà mai davvero casa. Attraverso i cinque fratelli e i loro differenti caratteri ho potuto vedere le diverse sfaccettature dell’inizio di una nuova vita, partendo dal non avere nulla se non la propria famiglia. I ragazzi quasi si fanno da padri a vicenda, soccombendo alla morte del loro, si aiutano, si sostengono, soprattutto Rocco che finisce per assumersi il fardello dei folli atti del maggiore Simone. Purtroppo però, è proprio il valore della famiglia che finisce per sgretolarsi pian piano, è questo il costo che i Parondi pagheranno, come dice lo stesso Rocco nel ricordare con amarezza la vecchia e cara Lucania: forse se fossero rimasti lì, sarebbero ancora tutti insieme. Il film quasi assume le note del mito tragico, culminato nell’uccisione di Nadia e dei pianti strazianti di Rocco quando gli viene detto l’accaduto. Rocco è un personaggio poliedrico, cammina sul sentiero dell’uomo di ogni tempo, dell’Ulisse che si adopera con successo per trovare una sua dimensione ma che manda giù con fatica il magone della nostalgia di casa. Rocco cerca in qualche modo di tenere insieme tutti i pezzi di una famiglia sull’orlo del baratro, rinunciando alla sua stessa felicità, come dimostrato soprattutto dal rapporto complesso con Simone, che più di tutti si è fatto inghiottire dai vizi e dagli eccessi della città, prosciugando la sua stabilità economica e psicologica. In Rocco ho potuto osservare le mille sfumature della fragilità umana, di un ragazzo silenzioso che diventa uomo ampliando il proprio animo di
altre mille consapevolezze, paure e sensibilità. Il suo sguardo è malinconico, velato sempre da una certa amarezza, ma soprattutto nella prima metà del film pieno di speranza: “Abbi fiducia”, ripete a Nadia quando si incontrano dopo la sua uscita di prigione, quasi come se lo volesse ricordare a lui stesso. Con il passare del tempo, però, il suo sguardo si disillude. Emblematico per me è il contrasto antitetico tra le vittorie sul ring e lo sguardo più profondo e sofferente di Rocco, che piange, quindi mostrando l’antitesi tra il pugilato quindi lo sport dei duri e le lacrime, la più semplice forma di fragilità. Rocco è quello che più di tutti sembra avere successo, ma è anche colui che soffre di più, rappresentando il disincanto verso la modernità, la nostalgia per un qualcosa che non si potrà più avere.
E in fondo lui è l’uomo di ogni tempo: ha lo sguardo di chi anche ai giorni nostri non riesce a trovare un equilibrio nel mondo veloce in cui si ritrova e va sempre avanti nonostante cerchi di tenersi stretti i valori più intimi di se stesso. E’ per questo che Visconti ha creato un capolavoro, regalando al cinema italiano una storia semplice, condivisa da così tanti, e arricchendola di sfumature tragiche e dolceamare, facendo però anche spuntare un sorriso ogni volta che riconosciamo qualche pezzo di nostra tradizione, qualche detto, qualche frase in dialetto, ma anche il solo pranzo insieme intorno al tavolo.