Era il 1964 quando la nuova voce rivoluzionaria del folk, Bob Dylan con un’armonica ed una chitarra profetizzava tempi decadenti con la vibrante The Times They Are A-Changin'. Lotte di classe, manifestazioni, conflitti internazionali e corse allo spazio. Gli anni sessanta rappresentano un periodo di enorme cambiamento. Ed è sullo sfondo di una Bruxelles in piena crisi adolescenziale che Michèle, una giovane incerta della sua identità in fuga dalla routine scolastica, inciampa in Paul, un rifugiato polacco. Tra i due nasce un legame istintivo realizzato sulla base di sguardi e conversazioni sul futuro e la libertà. Nello scenario mondiale irrequieto del tempo, come la guerra in Vietnam e le tensioni in Algeria, Michèle è assorbita dalle trasformazioni del paese, tratteggia per noi i timori socio-culturali del cambiamento interno. Il Belgio per tutti gli anni ‘60 è stato teatro di urbanizzazione, tensioni linguistiche franco-fiamminghe e influenze culturali che portarono i giovani a crescere in una costante condizione di ricerca di stabilità emotiva.
La connessione tra individuo e ambiente è l’aspetto principale di una delle opere più interessanti di Chantal Akerman: Ritratto di una ragazza alla fine degli anni '60 a Bruxelles (Portrait d'une jeune fille de la fin des années 60 à Bruxelles).
Mediometraggio televisivo della durata di un’ora, è tratto dalla serie Tous les garçons et les filles de leur âge, nove episodi diretti da nove registi diversi (Claire Denis tra gli altri) che hanno il compito di raccontare l’adolescenza. L’episodio girato da Chantal Akerman nel 1993 destruttura un’epoca, osservandola con un occhio più maturo, quasi trent’anni dopo, con l’impressione di trarre riflessioni sul presente e le crisi di fine secolo.
Chantal Akerman con una camera leggera ricerca da vicino le espressioni, le reazioni e i sentimenti di Michèle. Lunghi piani sequenza si perdono in dialoghi profondi e naturalistici, scivolando in frammentazioni di montaggio per passare da un ambiente all’altro. Assorbita da ciò che rifiuta e ciò che la spaventa, Michèle è plasmata in un disegno psicologico senza mutare troppo sotto l’occhio vigile della macchina da presa, inseguita fino alla fine della sua fuga, quando si ritroverà ugualmente sottomessa ai dogmi della società. Una tensione irrisolta che lascia poco spazio alle speranze della protagonista. Un ritratto autentico di una generazione in bilico tra lo spazio e il tempo.
Basta sbirciare le nuove generazioni per rendersi conto quanto l'opera invecchi tremendamente con una lentezza disarmante. Oltre alle importanti distanze col mondo adulto, c’è un file-rouge che unisce le due epoche: il conflitto israelo-palestinese, già negli anni sessanta simbolo della tirannia dell’invasore e di privazione della libertà. Combattiamo ancora le stesse guerre, per gli stessi ideali, con lo stesso timore e con la stessa voce.
Le giovani generazioni sono state costrette nel tempo ad esprimersi e a denunciare attraverso lo strumento filmico, ponendo domande lecite: in che direzione stiamo andando? Qual è il nostro rapporto con gli altri? Le drastiche domande erano succedute da altrettanto devastanti risposte, se si pensa che nel 1965 un giovanissimo Marco Bellocchio esordisce dietro la macchina da presa con I pugni in tasca, un riflessivo racconto pessimista su un giovane contro le convenzioni sociali, simboleggiando la crisi dei valori tradizionali e il desiderio di un futuro diverso. Quello era un periodo che precedeva infatti un decennio che avrebbe segnato irreversibilmente l’intero paese: gli anni di piombo.
I giovani restano disillusi, senza speranze, nascosti nell’ombra di rugosi corpi flaccidi come la Demi Moore in The Substance (2024). Con la netta differenza che qui non si tratta di paura di invecchiare, ma paura di restare vecchi. Nuove generazioni italiane che devono fronteggiare le pressioni dei vecchi che giudicano con aspettative, in una società dove l’incerta precarietà con un tasso di disoccupazione di circa il 20% è conseguenza diretta di un’instabilità emotiva ed dell’insoddisfazione generale. Oltre il 43% degli Under 35 guadagna meno di mille euro al mese, gli affitti sono alle stelle ed ottenere un mutuo è un’ardua impresa. Un paese in cui ricercare stabilità diventa un viaggio Fantozziano dalle venature pessimistiche e tragicomiche.
Anche le giovani agguerrite speranze che studiano cinema sono schiacciate da un sistema meccanico, impolverato e decrepito. Eppure Da segnalare il lavoro di resistenza, dato che non ne hanno il coraggio distribuzioni o le istituzioni, andrebbero nella lista film come Una Sterminata Domenica (2023) di Alain Parroni o il recente esordio di Edgardo Pistone, Ciao Bambino (2025), Non Credo in Niente (2023) di Alessandro Marzullo e perché no? L’opera economicamente sperimentale Tre Euro e Quaranta (2025), di Antonino Giannotta, sostenuta da un ideale più che da una produzione. Ancora alle prese con giovani protagonisti sbandati e disorientati in un mondo onirico che ha ben poco di tangibile. Un disordine temporale dove, ci piaccia o meno, le lancette continuano a scorrere frettolose.
L’opera ancora attuale di Akerman lascia riflettere quindi su quanto il cinema sia stato ed è uno strumento d’espressione per intere generazioni, per vomitare al mondo chi siamo e chi non vogliamo diventare, anche se con certezza ancora non lo sappiamo. Non dobbiamo sprecarlo.