“Gregor Samsa, svegliandosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato nel suo letto in un immenso insetto immondo.”
Le parole di Franz Kafka nelle “Le Metamorfosi” del 1915 sembrano echeggiare all’interno dell’ultima pellicola targata Mubi: The Substance, il body horror scritto e diretto dalla regista francese Coralie Fargeat, in cui una splendida Demi Moore lotta sanguinosamente contro il declino del suo corpo cercando disperatamente nello specchio la sua versione migliore incarnata da un’ipnotica Margaret Qualley.
La protagonista Elizabeth Sparkle (Demi Moore) è una ex diva di Hollywood divorata e rigurgitata da uno star system maschilista che vuole liberarsi di lei una volta che ha compiuto i cinquant’anni di età, per sostituire la conduzione del suo programma con una donna più giovane e più attraente.
A seguito del licenziamento resta coinvolta in un incidente stradale e il medico che l’assiste le propone quella che sembra essere la cura a questo declino, “the substance”, un siero misterioso che permette di creare uno sdoppiamento della sua persona: si genera così Sue (Margaret Qualley), una ventenne dalla bellezza eterea. La protagonista deve, senza eccezioni, rispettare l’equilibrio vivendo sette giorni nel corpo di Sue e sette giorni nel suo corpo originale senza scordarsi di “essere solo una”, come viene ripetuto più volte nel corso del film.
Questo liquido sperimentale una volta iniettato nelle vene della “cavia” permette di cerare una dinamica simbiotica e inquietante tra le sue due identità. Sue, la versione giovane, assume ben presto il controllo della vita che Elisabeth ha perso, diventando una star di successo e vivendo una vita edonistica, mentre la vera Elizabeth sprofonda in una spirale di insicurezze, autocommiserazione e degrado fisico.
Questo sdoppiamento non si limita solo alla carne, ma deteriora rapidamente la psiche delle due versioni fino a portare la protagonista all’autodistruzione.
“The Substance” è un film che prende di petto il tema dell’ossessione per la giovinezza, mettendo in scena una critica feroce al culto della bellezza eterna e del successo nel mondo dello spettacolo.
È la fotografia di una società che punta alla perfezione, che pretende una donna tanto sorridente e impeccabile quanto umiliata e depensante.
Una società dominata da uomini grotteschi, ossessionati da corpi tonici e perfetti; la camera, saggiamente posizionata dalla regista, inquadra i corpi nel loro dettaglio anatomico, spogliandoli di qualsiasi sensualità fino a nauseare lo spettatore. Il film riflette brillantemente sulle tematiche dell’identità, dell’autostima e della pressione sociale a conformarsi a standard di bellezza impossibili.
La tensione tra Elisabeth/Sue è spietata e il crescente disprezzo reciproco tra le due personalità esplora le conseguenze psicologiche di questa divisione interna, arrivando a un crescendo di violenza e disperazione.
La pellicola risulta impattante, riflessiva e sconvolgente allo stesso tempo. Il body horror viene riportato in auge in maniera credibile e senza censure da una regista che si dimostra capace di raccogliere il lavoro dei grandi registi del passato: a partire da Stanley Kubrick con l’utilizzo della sua geometria e con minuziosi movimenti di camera che svelano corridoi claustrofobici e solitari, fino ad arrivare al capostipite del genere: David Cronenberg con chiari omaggi a uno dei suoi capolavori “Videodrome” (1983).
Quando Sue pronuncia il suo nome in un close-up delle sue labbra, il suono delle sue parole si diffonde su diversi schermi televisivi, richiamando l’ambiguo magnetismo dei media esplorato appunto in “Videodrome”.
Nel classico di Cronenberg, le labbra di Nikki seducono il protagonista, trascinandolo in un universo sempre più oscuro e complesso. Analogamente, in The Substance, le labbra di Sue diventano un simbolo della commistione tra identità e immagine televisiva, offrendo una critica incisiva sul potere deformante della televisione e sull’ossessione per l’apparenza.
The Substance non lascia indifferente lo spettatore e viene naturale domandarsi: quanto siamo disposti a rinunciare, per riavere la versione migliore di noi stessi? E quanto siamo disposti a comprometterci per ottenerlo?