L’isola di Arturo - Elsa Morante
L’isola di Arturo - Elsa Morante
Quindi chi è Siddartha? Con questa domanda il lettore disattento e svogliato potrebbe prorompere, fermo al titolo del libro di Hermann Hesse, il quale s’intitola proprio Siddharta. Der suchende, “il cercatore”, dal tedesco suchen, “cercare”. Cosa potrà mai cercare un ragazzino, principe brahmano di buona famiglia con un futuro limpido davanti a sé? A tali quesiti risponderei nel seguente modo: In tutto il libro 3 cose Siddharta rammenta di aver imparato da giovane, quando abbandonò le mura domestiche per andare a vivere nel bosco con i saggi monaci samani: pensare, aspettare e digiunare. Queste tre abilità a noi “uomini bambini”, come direbbe il protagonista, sembrano banali e provocano un certo riso misto a tenerezza, come a dire: “E’ dunque così facile capire il mondo?”. Tuttavia tramite le suddette facoltà le cose, le persone e le situazioni scorrono naturalmente verso Siddharta. La gente comune si fa dirigere nella vita da desideri e passioni, mentre i cercatori da pensieri e da intuizioni. Siddharta conobbe in giovinezza il Buddha, colui la cui anima era arrivata al termine delle reincarnazioni terrene perché aveva raggiunto la sapienza sulla vita e nonostante ciò ha bisogno di perdersi, necessita di sperimentare il mondo, di cercare nel profondo. Con coraggio lascia l’amico d’infanzia Govinda, che sempre l’aveva seguito, alle predicazioni di Buddha, convinto della sua santità ma ancora più convinto che la saggezza, a differenza del sapere, non si possa insegnare. Così procede per la sua strada : scopre, sbaglia e impara. Aspetta di maturare, aspetta di capire. Quando è sprofondato nell’abisso delle passioni e dei vizi terreni pensa, e con forza abbandona di nuovo tutto e digiuna nel bosco. Al fiume, dal barcaiolo Vasudeva, apprende l’ascolto; la voce del fiume che aveva insegnato quest’arte al barcaiolo ora la insegna a lui perché il mondo è più saggio e più antico di noi. Grazie a suo figlio scopre l’amore che vive come qualcosa che lo allontana dal pensiero, perchè rende irrazionali e ciò lo spinge a compiere azioni che solo un uomo che ama può fare, per poi comprendere che come il Buddha aveva lasciato libero lui di sperimentare la vita allo stesso modo la saggezza da lui accumulata non poteva impedire a suo figlio di commettere i suoi stessi errori, perché la saggezza non la si può apprendere da altri. La realizzazione finale di Siddharta è l’unità, la consapevolezza che tutto è presente e il tempo è un’ illusione, io sono in te e tu sei in me. Vivere significa pensare in ogni istante ed essere consapevoli dell’unità e della totale interconnessione delle cose. Il nirvana è tutto e niente, è ovunque e da nessuna parte e il momento che stiamo vivendo è tutto quello che abbiamo. Ci troviamo davanti un libro che ha tanto da insegnare ancora oggi a ognuno di noi. Qualcuno ora si trova a scegliere l’università, qualcun’altro deve decidere se abbandonare quello sport oppure quella persona, altri ancora sentono di aver sbagliato tutto o di voler ricominciare. A fronte di questo Siddharta risponde semplicemente di respirare, inalare l’istante presente a pieni polmoni, e di prenderci il nostro tempo per sperimentare e, casomai, anche di sbagliare. La lettura fornisce delle “armi” per vivere e sopravvivere a tutti i tipi di vita sociale, validi oggi come un secolo fa : la più semplice ma complessa di tutte è l’ascolto. Ci troviamo sommersi da persone che parlano dovunque poniamo la nostra attenzione, dai social media alla scuola, quando la sera torno a casa sembra di affogare in questo mare di parole. Trovo sia a questo punto che la differenza tra il banale sentire e l’ascolto vero acquisisce un ruolo determinante, provare a capire davvero chi abbiamo davanti fornisce una maggiore presenza mentale e un pensiero critico più ampio che ripara anche da quei discorsi vuoti o disinformati in cui sempre più di frequente può capitare di imbattersi nell’era moderna. In ultima analisi, esattamente come termina il percorso dell’illuminato, la realizzazione mentale dell’unità della materia del mondo può essere assunta come un esercizio per stimolare la propria empatia verso il prossimo. In un mondo, per certi versi, corrotto da individui superficiali e insensibili, avere quella scintilla di compassione che permette di entrare nei panni dell’altro come fossero i propri può davvero fare la differenza per molte persone.