Il profumo della mia elegante accompagnatrice mi guida fin sul mio palchetto riservato.
Ma non sarei rimasto sveglio a lungo.
Stanotte ho sognato che il pubblico era finzione e il palcoscenico era reale. Gli attori si muovevano, correvano come cani, saltavano, strappavano la vita via dai fiori e strappavano i petali lungo il fondale nero della notte che ingoiava il mondo.
Il pubblico era immobile, fermo nel nero della morte.
Nero tinto di rosso, il nero è la morte e il rosso è vita che fugge, rosso sangue, sorge la luna e la mia pelle bianca si congela.
Sono fermo nel mio palco che osservo, non so se dormo o se sono sveglio, non so se mi ghiaccia la luce bianca della luna o lo sguardo color ghiaccio della mia accompagnatrice. So solo che non posso muovermi, perché sono parte del pubblico e posso solo guardare il palcoscenico che vive e respira, il ritmo del respiro sono le mille corde tese nel bianco della sua luce.
Ora siamo in due nel palco, io e la luna. ma “io” esiste sempre meno, è solo una delle tante ombre che si spengono tra il pubblico.
E ancora una volta s’illumina la notte.
Nessuno ci aveva avvisato che il protagonista era il buio. Se da sempre, a teatro, le luci e il loro gioco regnano sulla scena, in “S’illumina la notte” appaiono poche volte, e mai per caso: l’intero spettacolo si svolge in un universo notturno in cui lo spettatore non si aspetta mai la luce, e perciò quando la vede sa che sta per succedere qualcosa; questo è l’ingrediente principale dell’opera, un ensemble della poetica del grande drammaturgo siciliano Franco Scaldati, eseguito da Livia Gionfrida e portato in scena da teatro metropopolare, una compagnia di origini sicule, ma da anni operativa anche a Roma e Prato, dove fra il 20 e il 25 febbraio si è svolta la prima nazionale.
Lo scopo di Gionfrida è presentare al pubblico un grande contemporaneo come Scaldati, drammaturgo e soprattutto poeta, che in questo spettacolo rende la poesia, nella sua irrazionalità, narratrice a tutti gli effetti. Ci riesce, grazie a due elementi tradizionali del teatro: la scena, allestita con corde, petali bianchi, un centinaio di stivali e poco altro, ma completa in questo binomio fatale tra buio e luci; gli attori, che si calano nei panni di personaggi “gobbi e deformi”, irrazionali, con abiti e gestualità fuori da ogni luogo e tempo, eppure così esperti nel parlare al nostro pubblico del terzo millennio.
Con la loro gestualità accesa, le loro voci concitate e qualche espressione dialettale di tanto in tanto, i personaggi parlano in siciliano, ma sono immersi in un mondo di tenebre in cui l’uomo ha ormai distrutto ogni appartenenza e ogni capacità di relazione: lo si capisce dal modo in cui i personaggi più disparati e diversi per abito e classe sociale comunicano, provano terrore nel guardarsi a vicenda e poi corrono da tutte le parti; e come nel più terribile dei sogni, non esistono forme stabili, e il bellissimo principe della notte un momento dopo abbaia come un cane. Siamo in un universo tragicomico, distante dal quotidiano, in cui le musiche di carillon, le danze e le voci dei personaggi ci divertono, ma il mondo in cui sono immersi ci mette terrore. “S’Illumina la notte” è un carillon da incubo che vuole svegliarci in preda al fiatone per farci incontrare la poesia vera e propria, il logos degli antichi che crea amicizia e uguaglianza tra tutte le creature e che rischia di essere spento per sempre.
22/05/2024