“L’uomo non ha fatto altro che inventare Dio per vivere senza uccidersi” : è la cruda affermazione 1 pronunciata da Kirillov, uno dei personaggi de I demoni, romanzo scritto da Dostoevskij e pubblicato per la prima volta nel 1873. Otto anni più tardi, il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche scriverà ne La gaia scienza: “Dio è morto! Dio resta morto! E noi l'abbiamo ucciso!” 2 .
Dunque, non solo abbiamo creato Dio per non ucciderci, ma ci siamo sporcati le mani del suo sangue, partecipando in prima persona alla sua distruzione. Privata di quell’illusione che Sigmund Freud, padre della psicoanalisi, descriveva come una “cattiva scusa” , la vita appare spogliata del suo senso. Essa 3 diviene vita assurda. E se è vero che non c’è un senso, a quale scopo l’uomo, privato dei propri appigli metafisici, dovrebbe continuare a vivere?
A discorrere sull’assurdità della vita fu soprattutto Albert Camus, scrittore e filosofo francese nato nella prima metà del Novecento, nonché importante esponente dell’esistenzialismo. Per lui l’umanità si è illusa, attraverso la religione e quegli altri surrogati creati per colmare il vuoto lasciato dal loro abbattimento, che la vita avesse uno scopo preciso. Ma consegnare il senso della vita ad un’entità esterna e superiore è, per l’autore, un vero e proprio suicidio filosofico, una mera consolazione per sfuggire agli angoscianti dubbi che conseguirebbero dalla presa di coscienza dell’assurdità e del nonsenso. Accettare questa condizione significa accettare dunque l’assenza di un significato definito.
È proprio la dialettica tra il desiderio umano di ordine e sicurezza e la realtà caotica e indifferente che lo circonda a dare vita a questo assurdo che impregna la nostra esistenza. La nostra ragione pone delle domande al mondo, ma esso tace: in questo consiste l’assurdo. Camus non fu il primo a rendersi conto di questa assurdità, ma coloro che prima di lui vi arrivarono tentarono di sottrarvisi attraverso la speranza – come fece, ad esempio, Kierkegaard con la speranza e la fiducia in Dio –, il suicidio o dando un significato generico all’esistenza. Camus sostiene, opponendosi a questi altri pensatori, che tali tentativi non facciano altro che negare questa scoperta.
Che fare, dunque, di questa vita priva di senso? Camus sostiene che dall’assurdo non bisogna fuggire. Al contrario, esso dev’essere accolto e sopportato. Non si tratta di una visione nichilista e pessimista della vita; si tratta di scorgere, nell’assurdo, la strada verso la propria libertà. L’uomo deve accettare l’assurdità della vita, badando a non affidarsi a cieche vie di fuga consolatrici. Sopportando l’assurdo, l’uomo vi si ribella, ed è questa ribellione – che si esprime nell’arte, nella solidarietà, nella giustizia e nell’amore – il mezzo che lo rende libero. Una ribellione passionale e creatrice, quella dell’uomo assurdo, che per Camus deve vivere consapevolmente la propria condizione e creare il proprio senso, sfidando il mondo senza illudersi e godendo della propria libertà senza ignorare i propri limiti. Un senso, questo, che non deve essere preformato, già deciso e imposto dall’esterno, bensì un senso autentico e personale. La vita assurda è il destino finale a cui l'essere umano deve pervenire, e il punto di partenza di questo percorso risiede proprio nel riconoscere e accettare l’assurdo. Per Camus non è importante vivere bene, ma vivere il più possibile, ovvero intensamente e consapevolmente, spinti dalla “passione di esaurire tutto ciò che ci è dato” . Questo è 4 l’amor fati di Camus, il suo dire “sì” alla vita. L’unico ostacolo a questo vivere è la morte, intesa sia come morte fisica che metafisica – disconoscendo l’assurdo e rifugiandosi nella speranza. L’ ”uomo assurdo” sceglie la storia all’eterno, la fugacità della vita alla consolazione dell’infinito.
Camus individua la migliore personificazione dell' “uomo assurdo”in Sisifo, personaggio della mitologia greca, da cui deriva il titolo di una delle sue opere più conosciute e influenti, Il mito di Sisifo. Punito per aver offeso gli dei con la sua astuzia e la sua empietà, Sisifo è condannato da Zeus a spingere eternamente un masso su una collina, che rotola a valle appena raggiunta la cima. Camus non vede questa condizione come una condanna. Al contrario, Sisifo è padrone del proprio destino: il macigno gli appartiene; compiendo il suo lavoro privo di senso, egli diviene consapevole della sua condanna e silenziosamente vi si ribella, diventando un uomo libero. Un inno alla vita, quello di Camus, che può essere riassunto attraverso le ultime parole di questa illuminante opera: “Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice”.
1 Dostoevskij F., I demoni, Einaudi, Torino, 2014
2 Nietzsche F., La gaia scienza, Adelphi, Milano, 1977
3 Freud S., L’avvenire di un’illusione, Bollati Boringhieri, Torino, 2012
4 Camus A., Il mito di Sisifo, Bompiani, Milano, 1947
06/03/2024