Wes Anderson e il filo rosso della letteratura
Emma Consonni
Emma Consonni
Wes Anderson non smette mai di sorprendere. Dalle simmetrie fotografiche ai personaggi bizzarri, fino alle atmosfere sospese, il regista regala allo spettatore un’esperienza surreale, irripetibile, immersa in una plasticità che però non perde mai vitalità.
Una caratteristica che incontrerete spesso se deciderete di entrare nel microcosmo di sfondi disegnati e profondi personaggi di questo artista è la vicinanza alle tecniche narrative del teatro e della letteratura. Nello specifico i suoi ultimi prodotti cinematografici sembrano quasi richiamare da vicino un caposaldo della nostra letteratura novecentesca: Italo Calvino. Un altro autore che spesso lascia spiazzati con i suoi personaggi fuori dal comune, ma soprattutto con i paesaggi che disegna nelle pagine delle sue opere, luoghi surreali e fantastici. Questo autore, elemento di punta della letteratura italiana si inserisce in un contesto culturale nel quale risulta più preponderante che mai; la realtà è un mare non più analizzabile nei singoli elementi. Ma Calvino si inserisce in questo contesto attraverso la consapevolezza che non ci si può più inoltrare in quel mare, ma lo si può solo solcare sulla superficie. E da qui l’abbandono di una rappresentazione realistica, per dirigersi verso mondi immaginari, quasi plastici, che abbracciano il molteplice. La letteratura, in questo senso, rappresenta la possibilità di costruire un ordine. Con lo strutturalismo, ora la narrazione prosegue attraverso un mazzo di tarocchi, ora attraverso i multipli dei numeri di una scacchiera (Il castello dei destini incrociati e Le città invisibili). Da qui non si può non ravvisare un filo conduttore tra questi due estrosi artisti.
I film di Wes Anderson spesso abbandonano l’idea di una narrazione continua, ma sembrano seguire una suddivisione in “capitoli” o, per avvicinarci alla figura di Calvino, una serie di racconti. Le vicende, alle volte, sembrano separate l’una dall’altra e The French Dispatch è l’esempio più evidente, oltre a essere una delle rappresentazioni che più si avvicinano a una forma letteraria, quella della rivista. Il film sviluppa visivamente una serie di articoli di vari autori legati a una rivista culturale. Nonostante il genere letterario di riferimento sia quello che più aderisce alla realtà, quello giornalistico, le vicende sfuggono comunque dalle maglie del verosimile, rappresentando quadretti surreali e vicende comicamente al limite del possibile.
Calvino ha sempre preferito la forma del racconto a quella del romanzo, forma letteraria a cui difficilmente si avvicina, soprattutto nella maturità. Similmente, Wes Anderson sembra più raccontare una serie di episodi legati da un medesimo paesaggio e tempo, che per altro risultano dei “non luoghi” fuori dal tempo, piuttosto che una narrazione unica e continua (sensazione nota a chi si addentra nel mondo letterario di Calvino).
Tra gli ultimi prodotti di Wes Anderson, inoltre, si annoverano una serie di cortometraggi, dalle tinte quasi novellistiche, sempre accompagnate dalla voce narrante dello scrittore, che
ha un posto anche sulla scena. In questo caso, però, il riferimento è esplicito: Roald Dahl. A questo autore Wes Anderson è sicuramente debitore. Lo scrittore britannico è spesso ricordato per aver stravolto la letteratura d’infanzia, sostituendo le raffigurazioni esemplari con piccoli mondi che, seppur immaginari, non mancano di presentarsi più veri e reali sotto la loro superficie bizzarra rispetto alle fiabe edificanti. Qui assumiamo il punto di vista dei bambini, personaggi a sé stanti con le loro emozioni e caratteri, che arrivano spesso a superare gli adulti. Ma non sono solo gli ultimi quattro cortometraggi di Wes Anderson a richiamare esplicitamente le raccolte di racconti di Roald Dahl, ma anche uno dei più celebri film di Wes Anderson in stop-motion: Fantastic Mr. Fox. Il film, con la sua palette tenue, ricostruisce visivamente ciò che Dahl raccontava nell’omonimo racconto attraverso personaggi animali estremamente umanizzati.
Risuonano gli echi del celebre ideatore della fantastica fabbrica di cioccolato anche in altre opere, tra cui The Royal Tenenbaums, in cui il regista statunitense segue la crescita di tre fratelli prodigio, e certamente non stonerebbe in questa famiglia un piccolo genio come la Matilda di Dahl.
Dalle note decisamente più teatrali, invece, è Asteroid City, che si incentra proprio su una rappresentazione teatrale messa in scena in un programma televisivo. Ma, oltre a svelarci fin da subito il set televisivo e poi il palco teatrale in cui si chiudono a matriosca le vicende che noi poi viviamo in terza istanza, la vicenda si intreccia a tratti con le vicende degli attori, varcando il confine tra realtà e finzione. La riflessione stessa che i personaggi e attori fanno sul teatro porta gli echi del teatro nel teatro di Pirandello, come in Questa sera si recita a soggetto. Nell’ultimo surreale film di Wes Anderson, i personaggi sembrano alle volte sovrapporsi agli attori che li interpretano: il personaggio Augie, in lutto per la moglie insieme alle figlie, condivide il sentimento del lutto “reale” dell’attore Hall per Earp, lo sceneggiatore dell’opera. Ma non si esaurisce qui il criptico legame tra attori, teatro e personaggi: Hall si trova spesso confuso dallo spettacolo, ma anche dal suo stesso personaggio, del quale l’attore fatica a trovare le ragioni profonde.
Wes Anderson risulta un regista incredibilmente straordinario nella sua fotografia e nelle sue inquadrature, surreale nei paesaggi e nelle atmosfere, e criptico nelle vicende narrate. Quest’ultimo elemento lascia spiazzati i fruitori delle sue opere, che spesso tendono a concentrarsi sulle immagini piuttosto che sull’elemento narrativo. Ma a un occhio più attento non potranno, e non devono, sfuggire non solo le vicende e i loro significati sottesi, ma anche l’universo paratestuale che il regista tratteggia con la sua tenue tavolozza.