L’altro giorno ero in macchina con mia madre; in radio passava Come as You Are dei Nirvana. Mi sono voltata verso di lei e le ho detto in tono divertito:
«La canzone dice “I swear i don’t have a gun” ma non era proprio così alla fine, no?»
E lei con la proverbiale prontezza dei boomer mi ha fatto:
«In che senso?»
«Che Kurt Cobain si è ucciso, con un fucile, ti ricordi?»
«Io sapevo che lo avevano assassinato. Quando io e papà ci stavamo per sposare giravano mille teorie.»
«Ma erano complotti?»
«Non saprei dirti».
A Seattle, in Lake Washington Boulevard East 171, alle 08:40 di mattina dell’8 Aprile 1994, nella veranda sopra il garage della villa il corpo senza vita di Kurt Donald Cobain giaceva con un fucile tra le gambe. E intorno a lui, sparsi, cucchiaini e siringhe, 120 dollari in contanti e la sua nota d’addio, infilzata con una biro nera. E fin qui tutti d’accordo. Il corpo viene trovato da un elettricista entrato per fare lavori di manutenzione. Kurt era scomparso da qualche giorno, dopo solo 24 ore nella clinica di riabilitazione a Marina Del Rey, California. Proprio in quella stessa villa, una settimana prima, si era svolta una riunione; insieme avevano tutti concordato (Kurt compreso) che fosse necessario ricoverarlo per via della sua dipendenza dall’eroina. Era dunque entrato volontariamente e poi ne era fuggito, prendendo un aereo e facendo perdere le sue tracce. Qui ci inoltriamo nella nebbia.
Courtney Love, moglie di Kurt, ingaggia subito un investigatore per ritrovare suo marito: Tom Grant. Non un investigatore privato qualsiasi, ma un uomo con un curriculum da far spavento che si era addirittura occupato dell’impeachment di Clinton. Grant si mette sulle tracce di Kurt, ma pur visitando la casa due volte non gli viene in mente di controllare la stanzetta sopra al garage. Passano tre giorni prima che il corpo del cantante venga ritrovato. Quando arrivano sulla scena del delitto agli inquirenti la situazione sembra chiara: suicidio con un fucile Remington M-11; un colpo in testa e morte istantanea. Ma da una collina poco lontana un giovane giornalista di nome Richard Lee scatta dei fotogrammi che saranno il punto di partenza per le speculazioni sul caso. Lee sosterrà che la quantità di sangue intorno al corpo non sia abbastanza da confermare l’ipotesi del suicidio, ma verrà presto smentito dagli esperti. In ogni caso ormai la strada delle teorie di complotto è stata aperta. Da quel giorno il Seattle Police Department sostiene di ricevere almeno una richiesta a settimana di riaprire il caso. Lo stesso Tom Grant solleverà una serie di incongruenze nella versione ufficiale dei fatti: nel corpo di Kurt si trovava tre volte la quantità letale di eroina, non sarebbe quindi stato in grado di sollevare il fucile e spararsi. Inoltre sul fucile si trovavano tracce di impronte digitali, come se si fosse tentato di cancellarle e non ci si fosse riusciti, e viene anche detto che ci fossero stati dei tentativi di usare le carte di credito nei giorni successivi alla morte. E infine la nota di suicidio di Kurt, che pareva scritta con due grafie differenti e con pressione diversa. La parte ambigua sarebbe stata proprio il commiato finale. Quest’ultima opposizione si ricollegherà all’accusa di Grant nei confronti di Courtney Love, nella cui borsa verranno ritrovati dei tentativi di imitazione della calligrafia di Kurt. A insospettire ulteriormente Grant sarà la grande fetta di investigatori assegnati al caso che erano amici, stretti o meno, di Courtney. A questo punto la stampa si scaglia contro la Love; saltano fuori interviste a suo padre dove (causa i rapporti difficili con la figlia forse?) la accusa di essere un’assassina e una mente diabolica. E poi esce la versione della storia di Hoke (leader della band Mentors) durante un’intervista per un documentario sulla morte del frontman dei Nirvana, che evidentemente alterato sostiene che gli siano stati offerti da Courtney 50.000 dollari per far fuori Kurt. Il movente? La paura di essere diseredata dopo il divorzio, ormai imminente. Due teorie principali finora dunque: il suicidio, per quanto poco accreditato dai fan, e l’omicidio con mandante Courtney. Infine salta fuori la più assurda delle ipotesi: che Courtney fosse ancora legata a certe frequentazioni di una base militare USA in Alaska? E che Kurt fosse vittima di chissà quali losche faccende? Grant partecipa alla stesura di molti libri, lavora al caso per quindici anni gratis. Nel corso del tempo saltano fuori interviste, ipotesi, nomi che vengono poi rapidamente insabbiati. Eppure la versione ufficiale, sebbene il fascicolo sia stato riaperto, rimane quella del suicidio. L’opinione di molti ha poco a che fare con la realtà della morte effettiva: si riconosce a Kurt Cobain una solitudine immensa, un veleno inflittogli da chi gli stava intorno che seppur non provati assassini, rimangono complici di un suicidio che segna la storia della musica.
22/05/2024