Savoy Ballroom, Harlem, 1937. Sul palcoscenico della sala da ballo si stagliano le sagome di tredici eleganti figure in abito da sera, l’atmosfera è carica di eccitazione. Improvvisamente dei colpi sulla batteria squarciano il silenzio con una travolgente introduzione, gli ottoni della Benny Goodman Orchestra irrompono con una trascinante melodia a cui è impossibile resistere: i giovani che gremiscono la sala si scatenano sulle note di uno dei brani più famosi della Swing Era, “Sing, Sing, Sing”, e nell’aria si respira tutta l’euforia dei ritmi incalzanti del Jazz degli anni Trenta. Quasi cent’anni dopo, lo stesso brano viene ancora eseguito con lo stesso arrangiamento, i musicisti sono nuovi, gli spettatori anche ma lo spirito è immutato: l’energia e la vitalità spumeggiante dello Swing sono ancora capaci di infiammare gli animi.
Ho scoperto questo genere qualche anno fa, quando ho deciso di dedicare la mia vita allo studio del Jazz ed ho avuto la fortuna di entrare a far parte di due orchestre italiane che si dedicano al repertorio del cosiddetto jazz classico: gli Hot Gravel Eskimos, specializzati nella Swing Era, ed i Chicago Stompers, che riportano in vita la musica degli albori del Jazz, le orchestre degli anni Venti. Sono incappata nella piacevole scoperta di una musica straordinariamente vicina allo spirito giovanile, ingiustamente considerata stantia e morta dalle nuove generazioni. Mi sono dunque ritrovata a domandarmi cosa muova alcune persone a voler suonare, ascoltare o ballare questo genere ancora e ancora e perché a distanza di quasi un secolo, continui ad esercitare un fascino così irresistibile.
Innanzitutto è immediatamente comprensibile nella sua complessità, anche per un ascoltatore meno esperto, ogni brano è sapientemente arrangiato per risultare limpido nella sua simplicitas, melodioso ed accattivante, le complesse architetture nascoste nella scrittura concorrono alla resa di brani che difficilmente lasciano indifferenti. È inoltre un genere caratterizzato dalla presenza di solisti che spiccano per carisma ed estro, musicisti che grazie ad un’assoluta padronanza della tecnica strumentale sono soliti lanciarsi in virtuosismi mozzafiato, esibizioni di maestria, gusto e musicalità.
Cimentarsi nello studio del repertorio del jazz classico presenta notevoli sfide dal punto di vista esecutivo, ma altrettanti vantaggi: lo sforzo richiesto per imitare il sound di un’altra epoca in primo luogo permette al musicista di scoprire le diverse potenzialità del proprio strumento, a partire dall’evoluzione della tecnica a livello storico, abitua inoltre l’orecchio ad un ascolto attento e meticoloso spostando l’attenzione su aspetti musicali che sarebbero di norma ignorati. Per un musicista poi, è imprescindibile lo sviluppo di un senso d’insieme orchestrale, di reciprocità dell'esecuzione e dell'importanza del singolo in relazione all’altro, elementi su cui le Big Bands pongono le proprie fondamenta.
Dal punto di vista della voce, strumento a cui mi dedico personalmente, costringe a spogliarsi di tutti i virtuosismi del canto moderno e mettere in discussione gli stilemi del gusto contemporaneo, lasciando spazio ad una distensione che apre il cuore e lo spirito verso un'espressione più naturale e sincera del proprio sentire. Nondimeno, per uno strumento è notevole la dedizione richiesta per assimilare il linguaggio del jazz classico ed esprimere il proprio pensiero musicale attraverso uno stile tanto lontano da quello attuale. È in conclusione un genere che, da musicisti, vale la pena praticare, da appassionati di musica, ascoltare, da ballerini, danzare, dunque, nella speranza di essere riuscita a comunicare il mio entusiasmo nei confronti di questa musica, vi invito a concedervi il piacere di gustare un concerto dal vivo di travolgente jazz.
22/05/2024