Gli scoppi della rivolta, le urla dei manifestanti, le luci, i botti, gli echi della piazza risuonano lontani nella testa innocente dei liceali e degli universitari:
gli stessi che prima del famigerato Coronavirus scioperavano per il clima, simpatizzavano per le proteste operaie, rovesciavano intere scuole e presidi per un trattamento migliore.
Perché la maggior parte dei giovani, pur simpatizzando per le cause dei manifestanti, oggi ha abbandonato ogni forma di protesta e partecipazione attiva?
Per rispondere, bisogna dare per assodato che il nostro spazio generazionale riconosca i valori per cui un tempo si combatteva, i diritti civili e sociali che dovrebbero essere riconosciuti da tutti, da destra e da sinistra. E sembra che sia così davvero: ogni studente, che sia progressista o conservatore, vive ormai in un mondo globalizzato, dove ogni cultura è meritevole di rispetto e dove eventi come il matrimonio tra omosessuali non dovrebbero più destare alcuno scandalo. Per molti appartenenti alle generazioni più “antiche”, supportare i diritti dell'uomo è “da comunisti” o comunque, troppo a sinistra; per un giovane al contrario, a meno che non ci sia stata una pesante influenza familiare, supportare i diritti dell'uomo è perfettamente normale e funzionale alla società di oggi: più che di sopportare si tratta infatti di accettare tacitamente, di rendere parte della normalità le differenze che un tempo destavano tanto sospetto.
Ma perché allora quando questi diritti ormai assodati vengono messi a rischio sono sempre meno i giovani che alzano la testa e “lottano”?
La risposta si trova proprio nel termine “lotta”: per Marx era lotta di classe, e tutti i gruppi studenteschi del XX secolo ne hanno fatto l'emblema della loro protesta, una vera “lotta” contro un nemico tirannico, il mostro del capitalismo e poi del globalismo, poi i leader politici stranieri che spingevano verso la guerra e poi ancora contro la crisi. L'economia era onnipresente, e le politiche sociali del tempo miravano a formare una gioventù che si percepisse “attiva” e pronta alla lotta. Per la generazione X, a cui appartengono i genitori dei giovani di oggi, “lotta” era un termine di grande significato, perché significava alzare la testa, mostrare la propria presenza e riscattarsi contro un oppressore, e soprattutto era un enorme componente identitario per una generazione che aveva vissuto all'ombra dei loro genitori, i più fortunati e numerosi “boomers”, che hanno sempre fatto sentire “impotenti” i giovani della generazione X , privi di identità comune come la dovrebbe avere ogni generazione dai tempi del Romanticismo e permeati da un senso di vuoto come mostra anche Andrea Pazienza nel suo fumetto “Zanardi”. E così gli anni 80 sono ricchi di sottoculture che incitano al disinteresse politico, come gli yuppies, i paninari e i metallari: tutti giovani che crescendo sentiranno il bisogno di riprendersi il protagonismo perduto; protagonismo che spettava invece alla generazione Z di oggi. Le guerre del nostro tempo, prima in Ucraina e poi in Palestina, come anche la grande crisi del terzo millennio, sono l'ennesimo evento provocato dalla generazione dei nostri genitori, e anche i mezzi per mostrare il nostro dissenso appartengono alla cultura della generazione X.
I volantini, i vestiti retrò dello studente barbuto che ci invita alla lotta, il colore rosso onnipresente, i graffiti sui muri e le canne, gli slogan e le urla, le bandiere in alto e una comunicazione tutta basata sul rumore: questi sono i mezzi che ancora oggi vengono usati nelle proteste, che sono gli stessi delle proteste degli anni 80-90, e che non sono più invitanti per la nostra generazione.
Che la generazione Z abbia un grande messaggio da dare è ormai appurato: abbiamo dato per assodati i diritti umani, abbiamo dominato l'internet, abbiamo scosso il mondo con gli scioperi per l'ambiente, i famosi e lontani “Fridays for Future”; tuttavia, siamo anche una generazione pacifica e amante della tranquillità, della musica rilassante, dei film sotto la coperta, delle frasi poetiche di qualche cantautore, della placida routine scolastica e della compagnia, un lato che è emerso ancora di più dopo il 2020, con la pandemia.
Tutti questi valori, mai sentiti prima di adesso, sono in netto contrasto con quelli dei nostri genitori, e ci sembrano lontani anni luce dalla partecipazione attiva, che però è necessaria per mantenere quei diritti che siamo abituati a dare per scontati. È molto importante che i Millenials e la generazione Z insieme abbiano il coraggio di ripartire, di studiare una nuova forma di comunicazione per rendere “attivi” i giovani, senza fossilizzarsi su una cultura obsoleta che apparteneva ai nostri genitori e che non fa altro che allontanare i ragazzi di oggi dalla politica.