L’AI AL COMANDO: IL RITORNO DELLA METROPOLI CAPITALISTA
Nicole Bruder
Nicole Bruder
Nel 1927, Fritz Lang concepì un futuro in cui il progresso industriale aveva generato una città verticale: in alto si trovava l'élite, mentre in basso gli operai venivano ridotti a ingranaggi viventi di una gigantesca macchina. Questa città si chiamava Metropolis e, a quasi un secolo di distanza, continua a riflettere la nostra realtà attuale. L'intelligenza artificiale ha sostituito il vapore e l'acciaio, ma la logica che la guida rimane invariata: pochi in cima esercitano il controllo, mentre la massa, spesso ignara, lavora e produce dati per alimentare sistemi di cui ignora il funzionamento. I nuovi padroni di Metropolis sono le grandi aziende tecnologiche, invisibili ma onnipotenti, in grado di mappare i nostri desideri, prevedere le nostre azioni e automatizzare ogni aspetto della vita quotidiana. L’AI rappresenta il motore della società contemporanea. È invisibile e silenziosa, ma pervade ogni aspetto della nostra esistenza. Determina chi ottiene un mutuo, chi viene assunto, chi è sotto sorveglianza e chi diventa un obiettivo pubblicitario. In cambio offre efficienza, comodità e progresso. Ma a quale costo? Come nel mondo di Lang, il funzionamento di questa macchina richiede un sacrificio. Oggi il concetto di sacrificio non è più necessariamente fisico, almeno non in ogni circostanza. Si manifesta attraverso la sorveglianza, l'alienazione e la perdita di controllo sulle proprie scelte. Esiste un proletariato digitale composto da lavoratori della gig economy, moderatori di contenuti che si confrontano quotidianamente con immagini traumatiche, e click worker che addestrano algoritmi guadagnando pochi centesimi. Inoltre, emergono nuove forme di lavoro invisibile: ogni nostro clic, ogni preferenza e ogni movimento nel mondo fisico e digitale alimentano l'ossessione per i dati delle macchine. Siamo diventati sensori involontari di un sistema che trae profitto dalla nostra esistenza. L'intelligenza artificiale viene presentata come uno strumento neutrale, ma in realtà non lo è. È progettata, addestrata e utilizzata per servire gli interessi economici del capitalismo tecnologico. Come il robot di Metropolis, che assume l'aspetto della donna amata da Freder per ingannare le masse, anche l'AI indossa una maschera rassicurante. Promette obiettività, ma in effetti riflette le disuguaglianze di coloro che l'hanno creata. Chi gestisce questi sistemi non è vincolato a un potere democratico, ma risponde unicamente alle richieste del mercato. In "Metropolis", Freder, il figlio del padrone, scende tra i lavoratori e scopre la verità. Diventa il cuore, fungendo da mediatore tra la testa (i padroni) e le mani (i lavoratori), cercando una terza via. Oggi ci si può chiedere: chi è Freder nel nostro tempo? Esiste qualcuno nell'élite tecnologica disposto a modificare il corso delle cose? Alcuni ci provano: ricercatori espulsi dalle aziende per aver sollevato interrogativi etici, attivisti che denunciano l'abuso dei dati e movimenti che chiedono un uso equo e trasparente della tecnologia. Tuttavia, queste sono voci isolate, spesso ignorate o derise da un sistema che corre troppo veloce per fermarsi a riflettere. Il capitalismo tecnologico ha abbracciato la religione dell'intelligenza artificiale. Le macchine pensanti sono diventate nuove divinità. Si crede che possano risolvere qualsiasi problema: dalla malattia al cambiamento climatico, dalla giustizia alla povertà. Ma dietro questo culto si cela una resa della politica. Se la macchina è neutra, non c'è motivo di discuterne. Se l'intelligenza artificiale è inevitabile, non c'è necessità di governarla. Tuttavia, la tecnologia non è mai neutra. È sempre intrisa di politica. È sempre progettata in un certo modo, da determinate persone, con specifici obiettivi. La Metropolis del film era un luogo progredito, tecnologico e moderno, ma costruito sulla sofferenza. Oggi rischiamo di ripetere lo stesso errore. Siamo immersi in innovazioni che promettono un avvenire migliore ma che, nel frattempo, aggravano la situazione presente per molte persone. I lavoratori sono ridotti a semplici numeri, le comunità sono vigilate, e le disuguaglianze aumentano. L'automazione è presentata come un'opportunità di liberazione, ma spesso si traduce in controllo.
L'ottimizzazione viene erroneamente interpretata come giustizia, e l'efficienza come bene comune. Tuttavia, il valore di una società giusta non si misura in termini di rapidità. Il pericolo che affrontiamo non è solo tecnico, ma anche culturale. Se ci affidiamo all'Intelligenza Artificiale per giudicare, valutare e decidere, rischiamo di perdere noi stessi, la nostra capacità di scegliere, di commettere errori e di cambiare idea. L'umanità non può essere ridotta a un semplice modello predittivo, eppure, giorno dopo giorno, questo accade in silenzio. Alla fine di Metropolis, Freder riesce a far stringere la mano tra suo padre e il rappresentante dei lavoratori, un gesto simbolico e quasi ingenuo nella sua speranza. Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di quel gesto. Necessitiamo di un cuore: non di un algoritmo, non di profitto, ma di una coscienza collettiva in grado di bilanciare efficienza e giustizia, potere e dignità.È necessaria una nuova forma di contratto sociale per la tecnologia, un’alleanza tra cittadini, ricercatori, governi e comunità. È fondamentale sviluppare una maggiore consapevolezza. Stiamo infatti costruendo una nuova Metropoli, composta da codice, reti neurali e sensori. Tuttavia, abbiamo ancora la possibilità di decidere se sarà una città meccanica o una città vivente. Il futuro non è già stabilito nei circuiti dell'intelligenza artificiale, ma dipende dalle scelte di coloro che oggi hanno il coraggio di guardare oltre le luci della città e scoprire ciò che si cela nelle sue fondamenta.