“L’ORIGINE DELLA PAROLA MEME È PIÙ INSOLITA DI QUANTO CREDI”
Foppiani Riccardo
Foppiani Riccardo
È il 1976 quando un giovane biologo evoluzionista di nome Richard Dawkins pubblica la sua opera prima: “Il gene egoista”.
Il saggio espone la teoria che la vera unità della selezione naturale non è né la specie né il gruppo e neppure l'individuo, ma il gene, l'unità dell’ereditarietà. Il gene egoista non è però il motore primo dell’individuo in senso stretto, che ci comanda come faceva Plankton con i robot giganti, ma con egoismo si intende l'effetto dei geni negli individui che li ospitano, volti ad aumentare la probabilità che il gene si replichi e che aumenti la sua frequenza nella popolazione.
Una volta che si arriva al capitolo 11, tuttavia, si rimane un po’ spiazzati quando si legge una parola anomala nel titolo, una parola che non ci si aspetta di trovare in un saggio scientifico di metà anni ’70: “Memes: The New Replicators”.
Il giovane Dawkins parla dei meme come replicatori dell’unica cosa che contraddistingue l’uomo dalle altre specie: la cultura, che nell’uomo esprime la sua massima potenzialità (ironico a dirsi).
«Ora dobbiamo dare un nome al nuovo replicatore […] Mimeme, deriva da una radice greca che sarebbe adatta, ma io preferirei un bisillabo dal suono simile a gene: spero perciò che i miei amici classicisti mi perdoneranno se lo abbrevio in meme.»
I meme che intende Dawkins sono melodie, idee, frasi, che si diffondono nel pool “memico” passando da un cervello all’altro, facendo man mano presa nella testa delle persone, proprio come un parassita culturale che usa la mente come un veicolo di propagazione.
Proprio come i geni, anche i meme competono per la sopravvivenza: solo i più “contagiosi” resistono e si replicano, influenzando le credenze delle persone dopo una spietata gara di viralità. I meme odierni, pur avendo una concezione più goliardica, rispettano a pieno questi “comportamenti” che Dawkins attribuiva ai replicatori culturali con un nome ante litteram, mostrando come l’evoluzione sia inevitabile anche dove non sono implicate combinazioni genetiche.
«Siamo stati costruiti come macchine di geni e coltivati come macchine dei memi» scrive Dawkins a fine capitolo, riferendosi all’indottrinamento e a quegli istinti volti alla sopravvivenza dei geni.
L’uomo, però, ha il potere di ribellarsi, di combattere e liberarsi dalla tirannia dei replicatori egoisti, mostrando un altruismo disinteressato e puro, dimostrando la sua unicità rispetto al mondo animale, che a volte, anche i tempi moderni, ci sembra sempre più simile al nostro.