Overtourism: opportunità o minaccia?
Alessandro Scotti
Alessandro Scotti
Secondo il report del Ministero del Turismo relativo alla stagione 2023-2024, in Italia sono state registrate dagli esercizi del terzo settore oltre 450 milioni di presenze, ovvero 134 milioni di turisti che hanno scelto di trascorrere il tempo libero nel nostro paese. Se qualche anno fa, con ancora lo spettro della pandemia ad annebbiarci gli occhi, avremmo esultato gridando al miracolo economico, oggi non è più così. Infatti, nonostante un bilancio della Banca d’Italia metta in evidenza che il turismo è responsabile della produzione del 5% del PIL e del 6% dell’occupazione nazionale, questa situazione di apparente crescita e benessere economico sta prendendo una piega negativa, assumendo sempre di più le sembianze di quello che nel 2018 la Oxford University ha definito “Overtourism”. Questo è un fenomeno spaventoso che coinvolge in egual misura tutti noi e per il quale si intende un “flusso di turisti talmente cospicuo da mettere in difficoltà la località verso il quale si è diretto, causando disagi alla popolazione e all’ambiente”.
L’overtourism è una realtà presente ormai da anni nei principali luoghi d’attrazione di tutto il mondo e coinvolge in primo piano il nostro Paese, quinto nella classifica globale degli stati più visitati. Il sovraffollamento delle zone interessate, la derivante inefficienza di infrastrutture e l’innalzamento vertiginoso dei prezzi di case e affitti hanno fatto nascere in diverse mete turistiche europee e non un sentimento di astio nei confronti dei turisti, culminato talvolta in proteste in piazza da parte dei locals, come ad esempio la serie di manifestazioni organizzate a Barcellona nell’estate 2024, in cui gli abitanti del luogo hanno sparato ai turisti con delle pistole ad acqua. Tuttavia la mentalità imprenditoriale e la fede capitalistica nel profitto hanno fatto sì che alcuni cittadini delle ‘popolazioni occupate’ dal turismo di massa abbiano saputo sfruttare a proprio vantaggio questa situazione, contribuendo in realtà ad incrementare la rovinosità del fenomeno. È il caso della ‘deurbanizzazione’ che sta avvenendo nelle principali città europee, secondo la quale gli abitanti dei centri storici, un po’ per la loro invivibilità e un po’ pensando al guadagno, scelgono di convertire la loro casa in una pratica residenza per turisti e di trasferirsi in periferia. Questo triste fenomeno, che tra le altre cose contribuisce a vanificare lo spirito caratteristico dei centri storici che gli stessi turisti inseguono con i loro assalti, riguarda nel dettaglio le nostre città d’arte: Firenze, Napoli, Roma e Venezia si stanno spopolando per fare spazio ad Airbnb e friggitorie. In particolar modo nel capoluogo veneto, stando alle stime di Rai News, nel 2025 gli abitanti della città vecchia scenderanno a 48mila mentre i posti letto per i turisti saliranno oltre i 50mila. Tutto questo senza contare gli enormi impatti ambientali che l’overtourism sta avendo sul territorio: specialmente nei confronti di attrazioni di tipo naturalistico come la costiera amalfitana o le Cinque Terre, queste ondate di turisti non contribuiscono di certo a migliorare la già dura situazione ambientale, aggravata in questo caso dall’aumento della produzione dei rifiuti, dal sovrasfruttamento del suolo e soprattutto dalla mancanza di regolamentazioni e campagne di sensibilizzazione rivolte al gregge del terzo settore.
Ma quali sono le reali cause dell’overtourism? Sebbene degli studi antropologici non troppo desueti abbiano identificato la necessità di visitare posti diversi da quello proprio di appartenenza come “l’espressione di un bisogno di autenticità altrimenti inappagabile”; i flussi turistici odierni vengono prevalentemente orchestrati dai mezzi di comunicazione di massa e dai loro esponenti. Non è raro infatti che un luogo venga preso d’assalto dai turisti perché improvvisamente consigliato su Tik Tok dai maggiori influencer o perché fa da ambientazione al film campione d’incassi dell’anno; come avvenuto nei primi anni 2000 a Maya Bay in Thailandia, scenario del film “The Beach” con Leonardo diCaprio, tanto che il governo thailandese dell’epoca ha dovuto obbligatoriamente chiudere al pubblico per preservarne l’ecosistema. Ma non è tutto: l’illusione dei viaggi low-cost data da voli “salva euro” e crociere a prezzi troppo bassi per essere veri, hanno chiaramente ampliato l’orizzonte dei viaggi di piacere praticamente a tutti, a differenza di quando il turismo rappresentava l’espressione del benessere di determinate classi sociali, e hanno inoltre sdoganato e incentivato il modus operandi delle toccate e fuga, con soggiorni brevi che prendono luogo generalmente durante il fine settimana e che mettono a dura prova la sostenibilità e l’equilibrio talvolta fragile delle mete turistiche.
Ovviamente, una soluzione universale all’overtourism al momento non esiste, ma l’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO), riconoscendo la potenziale fatalità del fenomeno, ha individuato e proposto agli stati interessati in prima persona 11 strategie per combattere il fenomeno. Tra queste una di quelle che sembrano più efficaci e facilmente applicabili, almeno nel breve periodo, è senza dubbio la stretta sulla regolamentazione riguardo gli arrivi e le visite presso le attrazioni più gettonate, in modo da evitare che i turisti si concentrino tutti negli stessi posti durante gli stessi periodi. Ridistribuire i turisti in visite da più giorni e in luoghi generalmente meno considerati, disincentivando ad esempio i soggiorni brevi e valorizzando aree poco turistiche costruendo nuovi poli d’interesse, sarebbe cruciale per diminuire la pressione che attanaglia da anni gli stessi spazi e i loro abitanti. Altrettanto importante risulta essere la sensibilizzazione rivolta ai turisti, che devono essere necessariamente educati sulle normative, le culture e le tradizioni locali così da non violarle. Infine, secondo l’UNWTO, una misura che potrebbe essere immediatamente utile a moderare i flussi turistici specialmente nelle alte stagioni, riguarderebbe la modernizzazione dei sistemi di monitoraggio attraverso nuove tecnologie come i big data, in modo da prevenire crisi di affluenza e analizzare in tempo reale l’impatto dei turisti e gestire così più agevolmente picchi inattesi di visite.
Non spetta a noi, e probabilmente a nessuno, stabilire quale sia il confine tra l’esercizio della libertà di visitare luoghi e culture diverse dalla propria e il ‘turismo nocivo’ di cui si è parlato in precedenza; ciò che però appare scontato è che esistono delle zone calde in tutto il mondo che risentono di questo fenomeno globale e che vanno sicuramente salvaguardate, non solo perché fanno parte del patrimonio artistico e culturale dell’umanità, ma anche e soprattutto perchè sono la casa di milioni di persone. Bisogna per una volta mettere da parte il profitto ed è quindi necessario che le istituzioni interessate agiscano per prevenire il definitivo snaturamento e la rovina delle bellezze, soprattutto se si parla del nostro paese e del nostro continente, in modo da permettere anche alle generazioni future di poterne ammirare il fascino e rimanerne ammaliati.