Yoga: il Respiro del Tempo Presente
Paolo Perty
Paolo Perty
Più un individuo è cosciente della sua natura più questa consapevolezza lo addolora. E’ questo il fine dello yoga: condurre l’individuo ad uno stato di veglia, di attivazione, in cui prendere coscienza di sé e delle proprie validità.
Ma cos’è in effetti lo yoga? Non si parla di una disciplina al pari delle altre forme di attività fisica, ma di una scienza antica, di un vero e proprio metodo per indagare la propria identità, un processo che costringe a prendere contezza di quel che si è, di quel che si deve in definitiva diventare. Per ora diremo che il significato del termine yoga è upaya, il cammino da seguire per raggiungere qualcosa, e quel qualcosa è l’Atman, il Sè Universale, inteso come la volontà che anima ogni essere vivente, e a cui si può arrivare non con la sola conoscenza razionale, ma mediante un perfetto equilibrio tra mente e organi di senso: lo yoga è allora il mezzo per comprendere la nostra vera natura, il nostro dharma, guardando dall’esterno la nostra vita ed elevandoci a giudici di essa.
Alla base della pratica è il tristasana ( tri ‘tre’ e stasana ‘risiedere’) che porta l'individuo a confrontarsi con sé stesso, ad entrare in contatto con l’io, la vera identità che resta nascosta dietro la veste del corpo. Il tristasana si compone di respiro (pranayama), sguardo (drishti) e chiusure energetiche (bandha).
Il pranayama è un respiro profondo e sonoro, che evita la dispersione di calore e in questo modo riscalda il sangue e lo rende più fluido, liberando le articolazioni e aumentando dunque la portata di ossigeno. Il respiro sonoro ha effetti positivi sul sistema nervoso ed endocrino: stimola l'attivazione del sistema parasimpatico, calmante, che bilanciato all'azione del sistema simpatico, il quale risponde invece alle situazioni di emergenza, porta ad uno stato di accoglienza, di attivazione di fronte ai fattori che provengono dal mondo esterno. Il nostro sistema nervoso impara allora a mantenere la calma anche in condizioni di iperattivazione fisica. Lo yoga attiva anche il metabolismo ghiandolare e concorre al bilanciamento della produzione di ormoni, come il cortisolo. Il respiro consente infine di portare l'udito dentro, di assumere il pieno controllo della propria mente, annullando ogni altra percezione al fine di concentrarsi sulla sola indagine interiore.
Il drishti fissa lo sguardo non su un punto preciso nello spazio, ma sul momento presente, evita che i sensi si attacchino alle cose contingenti e si perdano nelle vane spiegazioni del divenire.
I bandha sono infine le chiusure energetiche, che consentono di bloccare il prana e rendere stabile il corpo durante l’intero corso della pratica. Servono a risvegliare l’energia cosmica, che si pensa risieda come un serpente attorcigliata in fondo alla nostra spina dorsale.
Il vinyasa, che è alla base della pratica, nasce dunque dalla coordinazione tra respiro e singolo movimento. Compete sulla parte limbica del cervello deputata alla produzione di ormoni (ossitocina, dopamina, serotonina), ed aiuta ad elaborare un modo diverso di rapportarsi emotivamente con l'esterno.
Il tristasana ha come fine il pratyahara, il ‘ritiro della mente dagli oggetti dei sensi’: insegna come controllare la respirazione e quindi la mente per liberarla dalla schiavitù del desiderio. esso non va inteso come un completo annullamento del mondo fuori, ma come un modo nuovo di rapportarsi ad esso: vivere le stesse cose ma in maniera diversa. Anche Seneca reputava del saggio - il quale viveva un’esistenza piena e inattaccabile quasi pari ad un dio - la capacità di relativizzare cose e persone, dando il giusto peso ad ogni accadimento e non lasciandosi abbattere da vizi e timori inutili. “Colui che ritira i suoi sensi dagli oggetti della percezione, proprio come una tartaruga ritira le sue membra nel suo guscio, è stabile nella saggezza costante.” si legge nella Bhagavad Gita.
Yoga è definita dal maestro Pattabhi Jois come Nishkarma Karma (nish- ‘senza’, -karma ‘desiderio’ e karma ‘azione’) ad indicare come l’agire di ognuno sia motivato dal desiderio che è però, in un primo momento, causa di malessere. Il fine ultimo dello yoga è l’azione compiuta senza che se ne desiderino i frutti, è non attaccamento al risultato, adempiere ai propri compiti senza desiderare una ricompensa personale ma offrendo i propri frutti all’altro: compiere le azioni con la mente rivolta al risultato infatti espande l’ego e lo incatena alle idee di ‘io’ e ‘mio’. “Hai il controllo sull'attività che svolgi, mai sul frutto delle tue azioni. Non considerarti il creatore dei frutti delle tue attività, né attaccarti all'inazione.” Lo yoga ci insegna quanto valore abbia allentare la presa e abbandonarsi al fluire del mondo che cambia. Viviamo in una società del risparmio in cui ci è richiesto di correre alla ricerca di un’occupazione perché neanche un momento del nostro tempo scivoli via inutilizzato. Dovremmo imparare a respirare, prendere la vita a pieni polmoni. Oggi invece ci viene insegnato a boccheggiare per sopravvivere, immersi fino al collo nel fiume frenetico delle nostre esistenze, a bere a piccoli sorsi dalle sue acque: siamo tutti vicini nella disperata ricerca di aria, agitando le braccia per arrivare in fretta all’altra riva prima che l’onda ci allontani sempre di più da essa. Siamo in lotta costante con un tempo che cerchiamo di aggiogare come una bestia, per timore che possa liberarsi e sfuriare contro i suoi padroni mortali la sua forza incessante. Andiamo sempre di corsa, mossi da una fretta che ci morde le caviglie, e così non viviamo mai nel presente ma speriamo di vivere. Riempiamo le nostre esistenze fino all’orlo pensando che solo così potremo dirci soddisfatti di aver vissuto: quando, guardando indietro, vedremo che nessun momento è stato sprecato. Questo è il fine dello yoga: concedersi la possibilità di sbagliare, ravvedersi e ricominciare. E’ una disciplina che impone il mettersi a confronto con sé stessi e individuare quel che è opportuno cambiare. Lo yoga a lungo termine insegna a lasciarsi accadere la vita, piuttosto che annaspare dietro di essa pensando di non averne abbastanza: rallentare fin quasi a fermarsi per considerare tutto quel con cui il mondo può ancora meravigliarci. Dovremmo allora smetterla di boccheggiare e imparare invece a respirare.