BONES AND ALL: IL CANNIBALISMO COME METAFORA DELL’AMORE E DI MOLTO ALTRO ANCORA
Gloria Lo porchio
Gloria Lo porchio
"I Want You To Eat Me, Maren. Bones And All."
Luca Guadagnino lo ha fatto ancora. Con ‘Bones and All’ (2023) il regista si è spinto oltre l’immagine di Elio e della pesca, mostrando agli spettatori un amore nudo e crudo, dove ogni schizzo di sangue e ogni morso sulla pelle sono in bella mostra a tutti.
Ma di cosa parla veramente il film? A una prima visione superficiale, la pellicola può sembrare solo un modo per romanticizzare il cannibalismo o un semplice ‘Twilight’ più moderno, ma è molto più di questo. L’intento di Guadagnino non è giustificare l’atto del cannibalismo, ma solo mostrare questa condizione e utilizzarla per spiegare un concetto ancora più grande: amare qualcuno fino in fondo, fino all’osso.
Quello di Maren e Lee è un amore che va oltre ogni difetto o peccato, che sia una inclinazione caratteriale o mangiare la carne di altre persone. Credo che tutti vorremmo un amore del genere - ovviamente non considerando il cannibalismo- dove ci si conosce e ci si accetta a vicenda completamente, difetti compresi. Il film ci obbliga anche a ragionare sulle implicazioni morali e filosofiche di questa pratica, poiché ci mostra il cannibalismo non come una scelta ma come un obbligo che li costringe a nutrirsi di sangue e carne umana. La stessa Maren, nel film, ha un conflitto interiore su ciò: non vuole uccidere, anche essendo il suo unico sostentamento per vivere, poiché logorata da un senso di colpa che la mangia da dentro.
I due protagonisti sono accomunati da questo fardello, una violenta e insaziabile fame che devono soddisfare per il misero scopo di sopravvivere o non impazzire del tutto. Sono emarginati della società, dei ‘mostri’ che trovano conforto nel fatto di non essere gli unici al mondo che devono sopportare ciò, una condizione con cui sono nati e di cui non possono farci nulla. Suona familiare? Persone queer, disabili, di etnie non caucasiche o semplicemente persone ‘diverse’ dallo standard possono ritrovarsi in questo aspetto del film, essendo anche loro ‘emarginati’ da una società che non riesce a comprenderli fino in fondo e che li odia solo per il fatto di essere così come sono. In un mondo dove odio e discriminazione sono all’ordine del giorno, trovare persone simili a noi, che condividono le nostre stesse difficolta o semplicemente i nostri stessi interessi, è una boccata di aria fresca. L’uomo, da animale sociale qual è, ha bisogno di avere delle connessioni interpersonali con cui riesce a sentirsi capito e apprezzato.
Per non parlare della cinematografia: ogni inquadratura è un vero spettacolo per gli occhi. I colori sono miti e delicati, l’unico che veramente spicca è il rosso del sangue che gocciola dalle labbra dei protagonisti, simbolo importante del film. Guadagnino utilizza infatti la carne e il sangue non solo come elementi di disgusto, ma anche come un modo per rappresentare la condizione della specie umana e la sua mortalità.
Lo scopo di Guadagnino con questo film è quello di celebrare l’amore nella sua forma più pura e incondizionata; un amore che tutti cerchiamo e che in pochi riescono a trovare, nella complessità e malvagità della vita che ci è stata destinata. Il film non vuole offrirci una visione idealizzata dell’amore tra i due protagonisti. Ci invita, invece, a confrontarci con le nostre paure e desideri più profondi, quelli che nascondiamo agli altri, e ci spinge a chiederci se siamo disposti a vedere gli altri e noi stessi oltre la superficie e oltre le convenzioni sociali, fino all’osso.