Siamo in grado di riconoscere il male anche quando non lo vediamo? La zona d’interesse ci pone questo grande quesito
Il 29 gennaio 2024, al cinema Astra di Parma veniva proiettata in anteprima nazionale La zona d’interesse, il nuovo film di Jonathan Glazer, il quale è stato in grado di regalarci un’esperienza a dir poco terrificante oltre ad un forte mal di stomaco.
La trama della pellicola è di poche pretese.
La storia assume la sua forma in una ridente casa di campagna, posta appena oltre il muro di un campo di sterminio, in cui ci viene mostrata la vita quotidiana di una famiglia tedesca borghese.
si tratta della famiglia Höß, il cui pater familias è il comandante delle SS Rudolf Franz Ferdinand (interpretato da Christian Friedel), passato alla storia per essere stato il primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz.
Al suo fianco la moglie Hedwig (interpretata da Sandra Hüller) insieme ai loro figli. Insomma, poche pretese per essere un film sulla Shoah, il che va apprezzato.
Meglio limitarsi a mostrare le crudeltà di quel periodo storico, senza troppi giri di parole. Soprattutto perché, di parole, ne sono state dette in ogni forma.
Che sarebbe stato un film non convenzionale lo avevamo capito e ne abbiamo la conferma nei cinque minuti iniziali, in cui ci ritroviamo a fissare uno schermo nero, contornati da un sonoro al limite del sopportabile e a tratti disturbante, in grado di trasportarci indietro nel tempo.
Glazer, con il sonoro, ha fatto un lavoro magistrale, ed è proprio questo che rende unica la pellicola.
È un film che ci permette di essere accecati dalle immagini o assordati dai suoni, percependo il medesimo ed esecrabile senso d’impotenza.
Disgusto, rabbia e angoscia. I dettagli fanno da padrone, il costante rumore fuori campo degli inceneritori in funzione, gli spari di pistola o, peggio ancora, le urla umane.
Non deve essere stato facile per Glazer aggiungere questi dettagli alla pellicola, ma dopotutto è il rischio che bisogna prendere se si vuole mostrare la verità.
Molti di voi penseranno che il protagonista del film sia Rudolf, in quanto comandante del campo, altri di voi penseranno invece che sia Hedwig, con la sua freddezza; mi dispiace deludervi, ma la vera protagonista è l’indifferenza.
L’indifferenza degli Höß, i quali non si fanno problemi a vivere accanto alla più grande macchina di sterminio mai creata, o a sfruttare delle persone per soddisfare le loro anime viziate, ma soprattutto, non si sentono minimamente in colpa a crescere dei bambini inculcandogli l’idea di come esista una sola razza superiore a tutte. Tutto questo ci pone davanti al grande quesito che Glazer ha voluto proporre: come facciamo a riconoscere il male quando non lo vediamo? Al contrario della domanda, la risposta è molto semplice. Non possiamo. Il male è in ogni dove.
Può essere in ognuno di noi, può essere in qualsiasi parte del mondo o in qualsiasi momento storico, ma ciò che è certo è che non possiamo sapere come si manifesterà.
Ormai, di film sull’olocausto, ne abbiamo visti, alcuni fatti bene e altri meno, ma come questo, penso che sia difficile ricercarlo.
L’unico che è in grado di farci sentire in pericolo dentro una sala cinematografica, facendoci riflettere su chi siede accanto a noi e, allo stesso modo, anche di noi stessi.
Glazer ha deciso un giorno di entrare nella storia con La zona d’interesse, entrandoci a gamba tesa e per questo verrà ricordato. Come verrà per sempre ricordata l’oscurità di quella guerra. Un’atrocità ingiusta, scatenata da un pazzo megalomane con complessi di inferiorità, che ha contribuito a rendere il Novecento uno dei secoli più bui della storia dell’umanità. La zona d’interesse di Glazer deve essere soprattutto il nostro interesse, ora e per sempre, per non dimenticare mai.
06/03/2024