Un modo di vivere? Una canzone di Fedez? Il modo in cui tutti speriamo di rivedere i nostri ricordi nei nostri ultimi momenti? Partiamo dall’inizio: La dolce vita (1960) è un film di Federico Fellini che racconta le vicende di Marcello, giornalista di successo che vive in una Roma divistica in cui i rotocalchi formano e influenzano la cultura dello spettacolo. I paparazzi fotografano e inseguono le celebrità a lavoro e in villeggiatura; gossip, scandali, inseguimenti e le lampadine dei flash delle macchine fotografiche lasciate per terra come a segnare un percorso attorno ai soggetti dei loro obiettivi - Via Veneto era il centro del mondo e probabilmente Alighieri non l’avrebbe varcata. Feste, cocktail party con grandi personalità erano la regola, e tutto pareva pervaso da una sorta di euforia generale che contagiava chiunque si avvicinasse ai confini romani.
Un episodio in particolare è rappresentativo di questo fervore, da cui Fellini stesso prese ispirazione, cioè lo spogliarello del Rugantino del 1958 ad opera della danzatrice turca Aiché Nanà che rimase in mutande davanti a tutti gli spettatori. Il numero portò all’irruzione della polizia nel locale portando molti dei presenti in questura; la spogliarellista con il fidanzato, due principi, un marchese, vari musicisti e il proprietario del locale vennero rinviati a giudizio per atti osceni in luogo pubblico.
Ma cos’era successo? Forse il Papa era diventato Bacco o forse ci fu un particolare contesto politico-culturale. Nel 1960 la Democrazia Cristiana era al governo rappresentando la forte componente religiosa cattolica di cui era composta la penisola in quel momento, eppure questa voglia di divertimento e spettacolo sembrava trasgredire lo status quo. La generazione dell’epoca visse anni più che duri con il secondo conflitto mondiale e il conseguente dopoguerra, tanto che una volta calmate le acque fuoriuscì, molto comprensibilmente, una relativa voglia di leggerezza e divertimento.
Se aggiungiamo che tra fine anni ’50 e inizio ’60 il paese stava attraversando il cosiddetto boom economico, troviamo una combinazione che serve su un piatto d’argento l’offerta alla domanda. Osserviamo dunque come i valori cattolici assoluti si incrociarono con la ripresa economica che favorì lo sfogo di un certo sentimento nazionale condiviso dai più dei sopravvissuti, quali altri fattori servono per inaugurare una stagione di trasgressione?
Ecco, aggiungerei un breve approfondimento per cercare di descrivere meglio il fenomeno, cioè Roma città eterna, come sfondo, scenografia e campo di attrito. Vale a dire che l’ethos sociale che andava cambiando, inflazionato dalla cultura di massa del ‘900, che nella sua versione più estrema portò alla globalizzazione, generava nuovi valori e visioni. Queste novità collidono con il classico, con i valori storici e cristiani di cui Roma è pregna, diventando così una scena in cui vecchio e nuovo convivono in una frizione e creano quell’estetica e tipo di società.
Tuttavia non tutti si sentirono inglobati in questa febbre ‘dolcevitistica’, probabilmente perché Fellini rappresentò un sentimento, l’emozione della festa che caratterizzava la società dello spettacolo. Allora verrebbe da pensare a La dolce vita come un falso, una riproduzione dei vaneggiamenti del regista e delle sue cerchie. Quel che è certo è che se anche nel film tutto è una riproduzione (come Via Veneto), l’episodio del Rugantino come molti altri, le celebrità e il cinema in fermento, erano realtà. E se non a tutti sembrarono anni di festa, probabilmente non tutti furono invitati.