Il “Valzer” dei direttori artistici: così viene definito, ultimamente, l’irrefrenabile viavai dei designer tra una Maison e l’altra. Un fenomeno che ha sconvolto il mondo della moda soprattutto dopo l’ultima notizia: Demna lascia Balenciaga. Si sarebbe potuto dire, ormai, dopo dieci anni di percorso nella Maison spagnola, che Demna fosse Balenciaga, o meglio, che Balenciaga fosse Demna. Infatti, se negli ultimi anni abbiamo sentito parlare così tanto di Balenciaga, è stato proprio grazie alla nuova identità che lo stilista georgiano ha saputo conferirgli: una narrazione incentrata sull’abito, che Demna ha voluto riportare al centro della moda fin dalla fondazione del suo ormai dimenticato brand Vetements. Ma Demna ha fatto più di questo: ha lasciato che lo streetwear si insinuasse tra le pieghe dell’alta moda, e dalla sua prima sfilata Haute Couture del 2021 abbiamo assistito a un crescendo: modelli seminudi rivestiti di abiti strappati che passeggiavano in un fosso fangoso, un palese riferimento alle trincee sovietiche, fino a portare i “maranza” (modelli vestiti con tute sportive) in passerella, così come normalmente si vestono gli abitanti dell’est. Figlio di madre russa, Demna Gvasalia ha sempre sostenuto una narrazione fortemente autobiografica, portando le forme brutaliste e scure del dopoguerra sovietico all’interno di un brand che chiedeva disperatamente una scintilla di novità, sin dal ritiro del fondatore Cristóbal Balenciaga nel 1968. Nonostante l’acquisizione del gruppo Kering nel 2001 e i primi successi nelle vendite, il brand si era decisamente allontanato dall’alta moda e necessitava di personalità: Demna si è saputo inserire in questo vuoto di mercato con uno stile provocatorio, capace di trasformare il banale e lo squallido in desiderio; ricordiamo il borsone dell’Ikea trasformato in un costoso articolo di design, così come il sacchetto di patatine o la gonna/ asciugamano. Uno stile che ha diviso pubblico e critica, per alcuni troppo distante dalle radici della Maison, per altri lo stesso ideale espresso in modo diverso. Dal canto suo Demna ci ha ricordato di non essere Cristóbal Balenciaga e non poterlo diventare mai, ma di poter essere se stesso. Una soggettività forte, che ha abbracciato un’estetica dark e forme oversize, dando vita al concetto di anti-umanità nell’alta moda, come se non fosse più il corpo umano a plasmare l’ombra ma il contrario.
Dai piani amministrativi, Kering ha visto così in Demna la forza innovatrice che potrebbe risollevare la Maison numero uno del conglomerato, ovvero Gucci, attualmente in crisi. Le domande del settore dopo questa scelta sono ancora molte, poiché ciò che ha funzionato così bene per Balenciaga non è detto che vada bene per un brand totalmente diverso come la griffe fiorentina. Non ci resta che stare a guardare, e sperare che l’identità di Balenciaga, così oscura eppure così solida, non si sgretoli nel frattempo.