Il racconto dell’ancella: una distopia più vicina di quanto ci sembri.
Beatrice D’Auria.
Beatrice D’Auria.
Nel 1985 la scrittrice canadese Margaret Atwood pubblica un romanzo che segnerà la storia della letteratura distopica, raccontando una storia provocatoria e a tratti inquietante, un riflesso della realtà distorta e fortemente patriarcale. In un futuro prossimo in cui il mondo è devastato dalle radiazioni atomiche e da un drastico calo di natalità, negli Stati Uniti vige una teocrazia totalitaria che sopprime ogni libertà individuale. Nella cosidetta “Repubblica di Gilead” il contrasto sociale prevede un modello fortemente classista dove al vertice troviamo i Comandanti, che godono di ogni privilegio, mentre tutti coloro che vivono più in basso si trovano generalmente in condizioni simili alla schiavitù.
Alle donne è riservato un trattamento particolare: lo scopo e l’obiettivo di queste ultime è, infatti, soltanto quello di riprodurre. Dunque tutte coloro che non sono fertili o troppo anziane per questo compito vengono dette “Nondonne” ed eliminate. Ci sono poi le mogli, donne sterili legate ai Comandanti, che hanno il solo compito di crescere i figli, i quali però vengono concepiti da un ultimo e ulteriore sottogruppo, nonché il più numeroso: le Ancelle. La voce narrante della storia è quella di Difred, ancella del Comandante Fred Waterford e della moglie Serena Joy. Prima del colpo di Stato, la ragazza conduceva una vita normale: lavorava in una redazione, conviveva con il suo compagno e insieme crescevano la loro bambina.
Nel tentativo di scappare dal regime totalitario vengono catturati, e la ragazza è costretta a diventare un’ancella, perdendo così anche il diritto ad avere un nome. Il suo ruolo nella società della Repubblica di Gilead diventa quindi quello di garantire un figlio al Comandante Fred e a sua moglie. La ragazza perde totalmente la sua identità, non ha diritto a possedere più nulla o alcun tipo di potere decisionale, così come ogni altra donna. A tutte loro non è infatti concesso nessun tipo di istruzione, nessuna possibilità di lavorare o svolgere una qualsiasi attività che non sia quella di procreare.
Il destino di ogni Ancella è un destino crudele, ingiusto, a cui nessuna persona dovrebbe sottostare. Il romanzo, riportato recentemente in auge grazie al noto adattamento cinematografico dell’omonima serie televisiva uscita nel 2017, dipinge uno scenario non ancora imminente, ma spaventosamente realistico. Sebbene ogni donna all’interno della Repubblica di Gilead sia sottomessa e asservita all’uomo, le categorie in cui sono a loro volta suddivise sembrano dare ad alcune la convinzione di essere superiori ad altre: è un primo importante aspetto da non sottovalutare, poiché rappresenta una delle principali convinzioni attraverso cui il patriarcato oggi agisce contro il genere femminile, rendendo le donne nemiche tra sé stesse. Oltre a ciò, l’argomento che forse più di tutti potrebbe toccarci riguarda proprio il controllo del corpo femminile, e delle scelte che vengono prese in merito ai diritti di questi. Basti pensare alla recente decisione della Corte Suprema negli Stati Uniti di ribaltare la sentenza Roe V. Wade (la quale garantiva il diritto federale all’aborto) che ha scatenato proteste in tutto il mondo, spesso guidate da persone vestite proprio come le ancelle di Gilead: abiti rossi e stanchezza sul viso, una stanchezza dovuta al peso che tutte portano sulle spalle, l’impotenza nei confronti di ciò che accade. Il parallelismo non si ferma agli USA, poiché ancora oggi sono moltissimi gli stati in cui i diritti riproduttivi sono sotto attacco, paesi in cui ideologie patriarcali limitano la libertà di moltissime donne, dove la distopia riguardo al controllo del corpo femminile è quasi del tutto realtà. Il Racconto dell’Ancella esplora anche altri temi di attuale rilievo su cui riflettere, come quello della sessualità e del consenso, ma anche della religione sfruttata come strumento per giustificare le ideologie che costituiscono un regime totalitario, ed infine un tema in questi giorni molto vicino, ovvero quello della resistenza. In un mondo assai analogo al più celebre distopico del Novecento, “1984”, dove è tutto sorvegliato e sempre sotto gli occhi vigili del governo, la memoria e le parole di Di Fred, rappresentano l’unica forma di libertà, parole che sembrano aver viaggiato nel tempo nella speranza che un giorno qualcuno le potesse ascoltare. Quel qualcuno siamo proprio noi lettori moderni, che veniamo colpiti dritti al cuore da un racconto crudele e schietto. Un racconto che dobbiamo leggere da un punto di vista morale, politico e sociale, per comprenderne effettivamente il vero significato. Spesso si dimentica che per lottare per un futuro migliore bisogna prima ricordare il passato, giacché senza prima capire cos’è che ci ha limitato, quali sono i diritti che abbiamo guadagnato e quelli che abbiamo perso, sia come donne che come persone, non potremo mai combattere per un cambiamento.
L’oggettificazione del corpo femminile non è un argomento passato, ci tocca continuamente così come il diritto di essere madre o di abortire. Soltanto perché non abbiamo vissuto una realtà come quella descritta dalla Atwood, non possiamo affermare di non esserci avvicinati ad essa, o che altre parti del mondo non siano così lontani dal diventarlo.
Questo romanzo va letto proprio con il terrore che possa un giorno realizzarsi, va letto con la paura che ci deve spingere a lottare con tutte le nostre forze affinché questo non accada. Non è soltanto un monito, ma anche una lente attraverso cui osservare il presente e la realtà che ci circonda. La distopia di Gilead non nasce infatti nel futuro, ma nasce ogni volta che si rimane in silenzio di fronte alle ingiustizie di cui ancora oggi le donne sono vittime.