Qui è l’inferno. Non c’è scampo. Poesie per Tiziana e Luogo del sigillo di Alfonso Guida.
Ileana Chirico
Ileana Chirico
Alfonso Guida nasce nel 1973 a San Mauro Forte, dove tutt’ora vive, poiché legatissimo alla sua terra, la Lucania, tenendosi lontano dai riflettori e dal trambusto cittadino. Nella sua poesia ritroviamo Paul Celan, Amelia Rosselli e Antonin Artaud; ritroviamo un erotismo omosessuale pasoliniano, l’oscenità, la sacralità, una mistica santità. Appartenente a quella che il critico Flavio Santi definisce una “linea borbonica”1(ovvero, una linea di confine meridionale riconoscibile nell’emittenza di una certa poesia; quella di Calogero, Bodini, Scotellaro, e, in parte, di Cattafi), Guida è, nelle parole di Michelangelo Zizzi, bellezza senza fronzoli: è la parola che ricerca forza viva, un impeto che vinca la malattia. La poesia di Guida è, in parte, poesia ospedaliera, la stessa della Rosselli e della Merini. È poesia scritta in manicomio, che ritrae «forme vegetanti di uomini imbottiti di Haldol»2, lavande punitive, prescrizioni; un’umanità che, pazza nel sangue, è priva di quella meschinità e di quel calcolo tipico della sanità borghese. Il poeta lucano è, nel momento immediatamente precedente alla poesia, «l’aristocrazia del verso»3: l’ispirazione è divina, l’opera è grande. Ma la grandezza non è momentanea, né passeggera, bensì durevole, come un mausoleo («è un’opera che rimarrà»4). In una delle sue prime raccolte, Il dono dell’occhio, la sofferenza psichica si materializza nell’ospedale psichiatrico di Policoro, in cui, per otto lunghi anni, il poeta è stato ricoverato. Il nòstos continua in Poesie per Tiziana, e poi, a completare la trilogia, nella plaquette Luogo del sigillo, ultima raccolta poetica a tema psichiatrico. Il dono del poeta lucano è quello di saper contare le foglie di un albero spoglio, muto; inseguire la nostalgia (appunto, nòstos), riconosciuta come la malattia di un’anima che sogna. In questo, la poesia di Guida è un lungo fluire di frammenti inconsci, tanto che il saggista Luigi Beneduci scrive: «i suoi versi, che sembrano uno scomposto, strozzato andirivieni prosastico, si rivelano in realtà miracolosi endecasillabi attraverso i quali si svolge un inesauribile flusso di coscienza»5. Frammenti difficili da spiegare. Il ritmo è salmodiante,
1 A tal proposito, si veda A Sud del Sud dei Santi. Sinopsie, Immagini e Forme della Puglia Poetica. Cento anni di Storia Letteraria, a cura di Michelangelo Zizzi, edito da Lietocolle nel 2012.
2 A. Guida, Luogo del sigillo, Fallone, Taranto 2017, p. V.
3Ibidem.
4 Ivi, p. 69.
5 L. Beneduci, Recensione: Alfonso Guida, Luogo del sigillo, in «Poesia», II, n. 335, marzo 2018, p. 80.
ipnotico. Se è vero che bisogna leggere poesie a chi lo chiede, a chi se ne sente coinvolto, il lettore, per essere travolto dal dettato poetico di Guida, deve farsi suo complice; scrivere con lui mentre sta leggendo, affidarsi ai suoni delle parole. Nelle Poesie per Tiziana, le persone, i luoghi, i profumi, le sensazioni, sono vive: il linguaggio non è mai sperimentale, è, invece, dal punto di vista lessicale, ricchissimo, e la ricerca glottologica, alta. Ma non c’è maniera, né citazione. Tiziana G. è una psichiatra, ma, come scrive lo stesso Guida, è riduttivo pensare a Tiziana come a un semplice medico. È colei che opera una restituzione («Sì, la cura, ma soprattutto il dialogo»6, «Tiziana G. non era fredda ma gentile»7), l’ascolto «senza spasimo né furto»8. I quaderni contenuti nel libro sono cinque e, scrive Guida, «Nulla è stato sottratto»9; i ritratti di Gino, Rosa e degli altri compagni di reparto, i luoghi della Lucania, le creature sottomarine, Cristo e la Grecia. Le poesie sono dettate dall’urgenza di un mattino assolato, nel luogo ribattezzato dal poeta come “Torremozza”, l’ospedale psichiatrico di Policoro. «Perché vuoi / guarirmi?»10, domanda il poeta. Sono i confini ben saldi di un uomo non ancora del tutto disposto a svelare il proprio sé. In un’intervista di Carol Guarascio, per la rivista letteraria online «Menabò», Guida afferma che «Chiedersi è fecondare un suolo arido»11, ovvero, parlare di sé e della propria realtà, senza arrivare per questo alla fine della vita o della scrittura, passare attraverso la parola, aggrappandosi a una realtà che è di tutti. La poesia di Guida è, difatti, totale, abbraccia tutti e tutto, è imponente, iperbolica nelle immagini, estremamente violenta. D’altra parte, è simile ai codici incorrotti, non omologati o usurati dei bambini. È pura, incompatibile con lo schiamazzo esterno (che, nei fatti, lo assilla; è questa la sua ossessione), non costruita, portavoce di una realtà oscura, misteriosa, poco compresa. Il mistero è l’orrore, e il modo per evitare l’orrore è abbandonarsi a esso, destrutturare ogni discorso. Zizzi, nella prefazione a Luogo del sigillo, scrive:
6 A. Guida, Poesie per Tiziana, Il Ponte del Sale, Rovigo 2015, p. 285.
7 Ibidem.
8 Ivi, p. 21.
9 Ivi, p. 286.
10 Ivi, p. 11.
11 C. Guarascio, Dialogo con Alfonso Guida, https://www.menaboonline.it/dialogo-conalfonso-guida, 30 giugno 2021.
Insomma è la poesia, nonostante l’ambizione di una pretesa linguistica pleonastica e preordinata, che suona così: sacrificio suicidario, anticipato, riverdente a ogni piè sospinto, come è del piano dell’omicida seriale, del killer che si riconosca in piano, piano piano pianificato12.
Invece di un caos di voci, il poeta restituisce ai suoi lettori una sola e unica voce: vera, sana, diretta, assorbente di tutte quelle voci che non hanno avuto la possibilità di farsi poesia. Le poesie per Tiziana non hanno titoli, a separarle solo un asterisco: è un fluire continuo di esigui momenti, che bisogna ricostruire pezzo per pezzo, stando attenti a non perdersi nell’universo di realtà a poco a poco evocate. Una delle poesie iniziali recita:
Tu pensi, io mi frantumo. Siamo pari.
Se ci fa soffrire il tempo che scorre.
Se ci fa addolorare la possibile
mania di raccontarlo. Resistiamo
finché i nostri occhi potranno ammirare
le barche lacustri, i tuoi discorsi, le
mie giaculatorie. Continuare a essere
bambini. Continuare a farci muri
di sostegno per gli uccelli invernali.
C’è troppo gelo, Tiziana, e io ne muoio.
Quando sento il megafono sul carro
della frutta, quando il vicino ascolta
le canzoni alla radio, quando il buio
si dissolve e i lampioni ellittici e miopi
12 A. Guida, Luogo del sigillo, cit., p. V.
diradano la ruggine e il colore
di Sirio, vendichiamo l’incestuosa
prepotenza mattinale del sonno.
Quale dio ci restituisce al costrutto
feroce e dilaniato del pensiero?13
La dissonanza tra il vissuto della psichiatra (vissuto di cui, verosimilmente, il poeta sa poco, ma del quale riesce a rubare piccoli scorci: brevi telefonate ascoltate in modo furtivo o avvistamenti al bar) e quello di Guida, è, almeno all’inizio, abissale. Alfonso non riconosce le parole di Tiziana, e, anzi, affoga tra queste, non comprende quale strada il bene inoltri nella mente, poiché conosce solo il male (Tu sei Tiziana, io il nosocomio»14 , «Tu vai ai tavolini del bar, ti vedo / ti spio, vorrei esserci, sarebbe il dono / più eloquente, ma io vivo in povertà, / poche ciotole, certo. […] / in te mi apro ai germogli»15). Ancora:
io, un letticciolo
di piume e lana cardata, una camera
celeste che m’ingombra, non avere
che un solo, spaurito lucerniere, Tu,
nel tuo lussuoso appartamento, forse
conti le ferite inferte alle mie ombre
strane, randagie. […]
tu che vai a ballare o a teatro, io che
scrivo come fiorire da uno strale
che svena le ansie, l’intesa cresce nei
13 Id., Poesie per Tiziana, cit., p. 17.
14 Ivi, p. 32.
15 Ivi, pp. 14-15.
pomeriggi di sole, al mattino, tra
la luce e me che sono la tua pelle16.
Allo stesso modo, la vita di chi sta fuori, di chi non conosce il luogo del sigillo, Torremozza, è una vita caotica, impegnata negli accadimenti quotidiani; chi sta dentro, invece, è prigioniero di sé stesso, preda di angosciose visioni («Ho spesso visioni»17, «E rosa che piange per la / sua stessa crudeltà»18). Nell’ospedale psichiatrico le medicine («oracoli interdetti»19) intorpidiscono le sensazioni dei pazienti, le infermiere («le ninfe ammaliatrici»20) guidano i malati a letto, ma il nosocomio è anche il luogo della poesia per eccellenza, in cui il poeta plasma umanità, spazi e fantasmi potenti, fiducioso del potere della parola, capace di nominare, e quindi di far esistere mondi interi. In Diari del transito Guida appunta:
La follia va avanti e sotto. Ti fa guardare più lontano e più in basso. Non parlo dell’alto. La verticalità rimanda a una mente paradigmatica, strutturata in un pensiero logico. La follia rende acuto lo sguardo21.
La civiltà persiana che tanto piace a Carlo rivive nelle poesie di Alfonso: non esistono altre dimensioni, scrive il poeta, se non quelle immaginate dai suoi compagni di reparto, perché «a Torremozza manca / la rugiada, il discernimento»22, e se anche una realtà esiste al di là della poesia, è solo grazie a quest’ultima che il mondo acquista un senso.
16 Ivi, p. 47.
17 Ivi, p. 212.
18 Ibidem.
19 Ivi, p. 26.
20 Ibidem.
21 Id., Diari del transito, p. 60.
22 Id., Poesie per Tiziana, cit., p. 93.