L’apartheid non è un fenomeno concluso
Federica Salimena
Federica Salimena
In Afghanistan le donne sono private di ogni diritto. Milioni di attiviste in tutto il mondo lo definiscono apartheid di genere.
“Apartheid” è una parola in lingua afrikaans che significa “partizione”, “separazione”, ci si separa dagli affetti, da ciò che fa stare bene e ciò che fa stare male, e si va incontro a un cambiamento. Si tratta di dividere qualcosa che è unito, significa ammettere che ciò che hai diviso consiste in due parti in cui una vince sull’altra, in cui una è migliore e l’altra vale meno. Separarsi contro il proprio volere. Quando sentiamo questa parola, pensiamo al sistema di segregazione razziale perpetuato fino all’inizio degli anni Novanta in Sudafrica: una minoranza bianca si è autodefinita superiore su una maggioranza nera, e l’ha dominata. Oggi milioni di attiviste donne in tutto il mondo, come Narges Mohammadi (premio Nobel per la pace e attualmente nel carcere di Evin per “opposizione al governo”) sostengono che quello che sta avvenendo in Afghanistan e in Iran sia una vera e propria apartheid di genere. Metra Meran, attivista in esilio negli Stati Uniti dal 2021, afferma che il reato di apartheid di genere sarebbe l’unico reato capace di riconoscere la natura istituzionale degli abusi dei talebani. A questo proposito diverse associazioni umanitarie, come Amnesty International, si stanno impegnando per far sì che la violenza strutturale organizzata dai governi finisca e che l’apartheid di genere venga considerato un crimine internazionale. Il governo dei talebani non è riconosciuto a livello internazionale, ma molti altri Stati intrattengono rapporti con esso. Una parte della diplomazia sta provando a portare il caso afghano davanti la Corte penale internazionale per dimostrare come le leggi varate violino tutti e trenta gli articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani; al contempo, altre milioni di attiviste provano a istituire il reato di apartheid di genere, perché ad oggi quello che sta succedendo in Afghanistan, così come in Iran, non è legalmente punibile.
A sostegno di questa causa è fondamentale il ricorso costante ad un dialogo interculturale. Combattere l'islamofobia, gli stereotipi e ogni forma di discriminazione e pregiudizio legata ad essa. La violenza di genere e la discriminazione non sono intrinseche a nessuna religione o cultura, ma sono il risultato di strutture di poteri patriarcali che si manifestano in contesti diversi e che devono essere smantellati attraverso un'azione collettiva e globale, tramite la promozione del confronto tra etnie, religioni, realtà diverse. La lotta per l'uguaglianza di genere nel mondo islamico, e nel mondo in generale, necessita di un approccio femminista che vada oltre le dicotomie semplicistiche e abbracci la complessità delle esperienze umane. Per questo, il femminismo transnazionale e intersezionale è la via per la costruzione di un futuro più giusto ed equo per tutte le soggettività. Le reti internazionali di supporto e di scambio di risorse amplificano l'impatto delle lotte locali e promuovono un’azione globale per l’uguaglianza di genere, rafforzando l’impegno collettivo per i diritti delle donne in tutto il mondo. Il femminismo oggi deve essere in grado di farsi movimento policentrico e interrelato, superando definitivamente quell’impianto binario e separatista del pensiero e della conoscenza, che ha costruito gerarchie improprie. Deve posizionarsi saldamente nell'intreccio tra le tante differenze che ci attraversano: genere, orientamento sessuale, classe, cultura, colore, etnia, religione, età. Un femminismo che aspira a un cambiamento radicale deve tenere insieme nuove forme di autocoscienza, un lavoro politico sul sé di ciascuna e quello sulla realtà che vogliamo radicalmente cambiare. Deve ribadire il valore delle differenze e, nello stesso tempo, riconoscere l’uguaglianza come ineliminabile categoria interpretativa della dimensione umana a garanzia di una pratica di interconnessione e solidarietà tra soggetti differenti. La lotta per i diritti delle donne è una lotta universale per la giustizia sociale e per un futuro più equo e inclusivo per tutt*.