Trump ha fallito?
Andrea Galli
Andrea Galli
Nel recente brusco mutamento del sistema internazionale, era chiaro che le elezioni presidenziali USA del 2024 avrebbero rappresentato l’ago della bilancia di tutte le maggiori questioni globali. In quei giorni in cui tutti erano in attesa di sapere chi avrebbe guidato gli Stati Uniti in questa nuova epoca segnata da nuove guerre, nuovi equilibri e nuove incertezze, sembrava quasi che anche il disordine internazionale si fosse acquietato per permettere a tutti di ricalibrare le prossime mosse. Da quello spartiacque ne uscì vincitore Donald Trump, che dal giorno della sua elezione non ha mai smesso di spararne una più grossa dell’altra: dalla promessa di risolvere in 24 ore una guerra esistenziale come quella tra Ucraina e Russia alla pretesa di annettere Canada e Groenlandia come se fossero piccole aziende da incorporare. Ma a 5 mesi di distanza dal suo insediamento, Trump è stato all’altezza delle sue promesse? È riuscito a realizzare il suo progetto? Si è effettivamente accorto di non essere onnipotente? Insomma, Trump ha fallito?
« Dazi pesantissimi contro i paesi che ci hanno sfruttato per anni. »
Al contrario di quanto Trump voglia far credere, la figura del Presidente degli Stati Uniti non ha pieni poteri e soprattutto non è un autocrate. Infatti, per poter imporre dei dazi contro altre nazioni Trump ha dovuto ripescare una legge del 1977 (International Emergency Economic Powers Act) con la quale il Congresso delega temporaneamente al Presidente la possibilità di applicare sanzioni o embarghi per questioni di sicurezza nazionale – quindi una concessione più che un potere effettivo – ma la legge non fa riferimento a dazi e per questo Trump è il primo Presidente nella storia ad usare questa legge per imporre tariffe doganali. Questo è solo uno dei tanti escamotage usati da Trump per aggirare i paletti democratici, un fatto che smonta la sua narrazione da “Putin della situazione”, rivelando come non abbia i poteri illimitati che vorrebbe. In più, i dazi sembrano essere sempre di più uno strumento per ottenere delle concessioni in modo facile, cioè Trump minaccia di imporre dazi per assumere una posizione di superiorità e costringere i paesi minacciati a stipulare un accordo, cosicché lui possa guadagnare qualcosa che prima non avrebbe potuto ottenere; un atteggiamento che rientra in quella mentalità di “attacca, attacca, attacca” insegnatagli dal suo mentore Roy Cohn. Ma il Tribunale Federale per il Commercio Internazionale USA ha emesso una sentenza che definisce “illegali” molti dei dazi imposti da Trump, mettendo in discussione l’uso improprio di quella legge del 1977 e definendo quest’azione un abuso di potere. Infatti, di norma, i dazi andrebbero approvati dal Congresso, ma Trump non l’ha ritenuto necessario in quanto ritiene che le tariffe siano una questione di sicurezza nazionale e che siano fondamentali per rimediare ad un’emergenza sul piano commerciale ed economico. Allo stesso tempo, la sentenza ha giudicato insufficiente questa motivazione, ribadendo come non ci sia una reale ed effettiva minaccia che giustifichi l’impiego di dazi, i quali sono stati per la maggior parte revocati tranne quelli contro l’Unione Europea, che restano ancora congelati fino al 9 luglio. Questo provvedimento segna la prima, anche se debole, vera e propria battuta d’arresto all’arroganza trumpiana, costringendo il nuovo presidente a fare effettivamente i conti con gli anticorpi della democrazia.
« Prima ancora di entrare alla Casa Bianca metterò fine alla terribile guerra tra Russia e Ucraina. » Quando all’ambasciatore russo presso le Nazioni Unite venne chiesto di rispondere alla presunzione del Presidente Trump di risolvere la guerra in Ucraina ancora prima di entrare nello studio ovale, egli disse che “la crisi ucraina non può essere risolta in un giorno”, e così è stato. A distanza di mesi dall’insediamento del tycoon repubblicano, il conflitto russo-ucraino più che arrestarsi si è aggravato: Putin ha intensificato le operazioni militari con attacchi ancora più sanguinari come la strage di Sumy e la tragedia di Kharkiv; i colloqui non vanno avanti; il cessate il fuoco si allontana sempre di più e la pace sembra ancora fuori discussione. Dopo la sua assurda promessa, Trump si è accorto che negoziare con un dittatore criminale è diverso dal trattare con un imprenditore che chiede percentuali e contratti, ed ora dichiara di non capire Putin e di “non essere felice di quello che sta facendo”, condannando di fatto le sue azioni. Inoltre, giorni dopo aver sostenuto che solo lui e Putin avrebbero potuto risolvere la questione, Trump si è esonerato dal suo incarico di “peace-maker” precisando che l’Ucraina e la Russia debbano sbrigarsela da sole. Dunque, Trump – probabilmente il fan numero uno di Putin in quanto vorrebbe essere come lui – è stato preso in
giro dal suo stesso idolo; credeva di sedersi al tavolo dei negoziati e porre fine alla guerra come si pone fine a un litigio tra amici e invece si è ritrovato a non capirci più niente, con appuntamenti ai tavoli di Istanbul disdetti all’ultimo minuto e dispetti sotto forma di bombe e proiettili che continuano a stroncare vite.
« Gli Stati Uniti si impadroniranno della Striscia di Gaza. »
Oltre ad essere stato sbeffeggiato dal suo beniamino Putin, Trump si fa mettere i piedi in testa anche dal suo cuginetto Netanyahu. Infatti, il premier israeliano, dopo aver accontentato Trump con una tregua di circa 2 mesi – tramite un accordo che in realtà risaliva all’era Biden ma che Trump ha sicuramente accelerato – ha ripreso a bombardare incessantemente e ancora più ferocemente i civili palestinesi, in quello che è ormai un innegabile genocidio. In quei 58 giorni il governo israeliano ha rilasciato più di 1.800 ostaggi palestinesi, cosicché possa bombardarli meglio, senza dover giustificare le loro morti nelle prigioni sul territorio israeliano ma lasciandoli al loro destino nelle prigioni a cielo aperto di Gaza e Cisgiordania. Come se non bastasse, in uno dei suoi ennesimi deliri, Trump ha dimostrato ancora una volta di essere il Presidente delle prime volte, annunciando con un video generato dall’IA il suo progetto inedito di voler porre sotto il controllo americano la Striscia di Gaza – una soluzione al conflitto israelo-palestinese che nessun Presidente americano aveva mai concepito prima – con l’obiettivo di trasformarla nella “Riviera del Medio Oriente”, sottolineando il suo enorme potenziale da resort turistico. Tutto ciò implica ovviamente un ennesimo esodo palestinese, deportando circa 2 milioni di palestinesi chissà dove.
« Elon è impazzito » « Il presidente è nei file di Epstein »
Pochi giorni dopo aver lasciato il suo incarico al DOGE, anche il fedelissimo Elon Musk sembra ormai aver mollato Trump. L’approvazione del “Big Beautiful Bill” in Senato è il motivo principale della rottura tra i due, una legge fiscale che prevede profondi tagli alla sanità, ai programmi climatici e all’istruzione, implementando allo stesso tempo un indebitamento pubblico da massimi storici per la difesa e la lotta all’immigrazione. Ma a far infuriare il CEO di Tesla e Space X è stato l’azzeramento degli incentivi per le auto elettriche previsto dalla nuova legge, un provvedimento che ha portato i due a un botta e risposta sui rispettivi social, Musk su X e Trump su Truth, come due bambini che litigano con in mano strumenti troppo potenti. Musk invoca l’impeachment per il Presidente e dichiara di star pensando di fondare un nuovo partito politico, sostenendo che senza i suoi finanziamenti Trump non avrebbe mai vinto le elezioni e rivelando che il nome del presidente sia nei file di Epstein, il celebre caso di traffico di minorenni che vedrebbe coinvolti centinaia di politici e celebrità. Dall’altro lato, Trump ammette che i due non avranno più “una grande relazione” e che “Elon ha dato di matto”. È divorzio tra i due, Musk si trasformerà in un oppositore?
« Non li vogliamo, tra di loro ci sono anche terroristi. »
Trump nel suo secondo mandato ha incrementato ulteriormente le strette sull’immigrazione e, attraverso espulsioni, incarcerazioni e confinamenti, la nuova amministrazione sta pianificando una deportazione di massa di tutti gli immigrati irregolari in carceri situate fuori i confini statunitensi, principalmente in Guatemala, Honduras e Messico, ma che assumono la loro forma più brutale nella mega-prigione di El Salvador, dove sono stati rinchiusi presunti membri di gang sudamericane che operano negli Stati Uniti. A questo proposito, nonostante la cacciata degli immigrati illegali non sia stata nemmeno presa in considerazione dal potere giudiziario in quanto ritenuta legittima, la questione di El Salvador ha suscitato numerose indignazioni riguardo le condizioni dei prigionieri e il rispetto dei diritti umani, soprattutto perché, come dichiarato dal giudice capo del Tribunale Distrettuale degli Stati Uniti, più di 100 persone recluse non hanno avuto la possibilità di contestare le loro deportazioni nonostante siano emerse prove significative riguardo la loro estraneità a qualunque gang. Per aggirare questi vincoli, Trump ha fatto nuovamente ricorso a una vecchia legge: The Alien Enemies Act del 1798, che permette al Presidente di arrestare, immobilizzare, mettere in sicurezza ed espellere qualsiasi soggetto ostile alla nazione, considerato un “alieno nemico”. Questo statuto fu istituito poco tempo dopo la Guerra d’Indipendenza americana e fu redatto in vista di un’eventuale guerra con altre nazioni, mentre oggi viene usata per deportare immigrati e
presunti membri di gang criminali. In più, il bisogno di dover ricorrere a leggi secolari sottolinea nuovamente come i poteri del Presidente americano siano fortemente limitati, e come Trump stia incontestabilmente forzando dei provvedimenti estremi.
La democrazia funziona ancora?
Quindi, mentre in politica estera tra i dazi e le guerre, tra Putin e Netanyahu, Trump non riesce ad agire come vorrebbe, in politica interna con vari trucchetti e riesumazioni di leggi è in grado effettivamente di imporsi. Infatti, con l’attacco alle università, l’utilizzo dello studio ovale come gogna pubblica per i vari leader mondiali, le epurazioni dei suoi oppositori da ruoli di rilievo e la reintroduzione della pena di morte, il nuovo Presidente inizia ad assomigliare sempre di più a un autocrate, ancora fortemente limitato ma che comunque intimorisce. Oltretutto, Trump è caratterizzato da un modo di agire in cui la verità non esiste, tutto può diventare il contrario di tutto e la sua opinione può cambiare dalla mattina alla sera, diventando imprevedibile, e ricorda spaventosamente il bipensiero di Orwell, cioè quel meccanismo attuato dalla dittatura del Grande Fratello per ritenere veri allo stesso tempo un qualsiasi concetto e il suo opposto a seconda della volontà del Partito, dimenticando all’istante il cambio di opinione. In più, Trump nega l’evidenza in continuazione, ritenendosi per esempio il “Presidente più ambientalista dai tempi di Roosevelt”, nonostante abbia abbandonato l’Accordo di Parigi sul clima e abbia stracciato qualsiasi tipo di contratto e legge che tutelasse l’ambiente, così come in 1984 il Ministero della Pace si occupa di guerra e il Ministero dell’Amore di tortura. Nonostante sia altamente improbabile l’instaurazione di una dittatura vera e propria negli Stati Uniti, c’è comunque da valutare con attenzione la vicenda, sperando nel corretto funzionamento e nella forza dei sistemi democratici americani.
Sebbene questi 5 mesi siano sembrati 5 anni, Trump ha davanti a sé ancora gran parte del suo mandato, dunque è difficile stabilire se abbia fallito o meno, soprattutto perché in questi restanti 3 anni e 7 mesi di presidenza può rimediare alle sconfitte ottenute fino ad ora ed attuare riforme interne ancora più drastiche nel corso della sua lotta allo “stato profondo”, magari permettendosi di concorrere per un terzo mandato, o di abolire completamenti i mandati.