Meglio parlare o morire?
Una frase che in qualche maniera è rimasta stretta nella mia gola dalla prima volta in cui vidi Chiamami Col Tuo Nome (2017), ormai più di sei anni fa.
Una pellicola che ha glorificato Guadagnino, rendendo la sua opera già un cult.
Un film decisamente noto nella nostra generazione, che vanta, oltre, per l’appunto, la regia di quest’ultimo, l’adattamento per lo schermo di un maestro come James Ivory e la penna del libro originale di André Aciman.
La trama, bene o male, è nota: estate del 1984, da qualche parte nel Nord Italia, l’adolescente Elio nella villa di famiglia è costretto ad accogliere l’americano Oliver, studente invitato dal padre, professore di archeologia.
Quella di Elio è quasi un’educazione sentimentale: i dialoghi nel film sono pochi, ma le sensazioni che ne emergono sono così palpabili che per lo spettatore è quasi impossibile non sentirsi travolto a sua volta nel primo amore del protagonista.
Timothée Chalamet dimostra una capacità incredibile nel non detto: i suoi movimenti, i suoi sospiri, i suoi sguardi comunicano tutto quello che serve per capire quanto sta nascendo nell’animo del suo personaggio. Entrambi gli attori, anche Armie Hammer, sembrano essere un parallelismo delle statue greche studiate dal padre di Elio. I loro corpi tesi sotto il sole estivo, esprimono il desiderio che cresce in noi che osserviamo, ma che sentiamo anche in loro, ancora una volta in un non detto, che rimane sospeso nell’aria: Elio ed Oliver vogliono toccarsi, baciarsi, ma sono trattenuti da emozioni, dubbi, non capaci di farli cedere.
Elio, in quanto protagonista, rimane al centro della pellicola, con le sue emozioni e con i suoi tormenti. Il desiderio tanto temuto, che cresce nei confronti di Oliver, viene impiegato nelle sue solite attività: leggere, suonare, trascrivere musica, fare il bagno, trascorrere il tempo con la sua famiglia, in quella villa e quei dintorni di Crema che ancora di più rendono così delicato e cinematograficamente immenso il soggetto.
Dunque si ritorna a <<Is it better to speak or to die?>>, la frase che contiene il fulcro dei tormenti del protagonista. Parlare o morire? Rivelare quel desiderio che lo attrae sempre di più verso Oliver o rimanere soffocato dalle proprie emozioni?
È la questione che sorge anche in noi spettatori che, inevitabilmente, ci ritroviamo a domandarci se sia meglio parlare o morire e quante volte siamo morti piuttosto che esprimere i nostri sentimenti per paura; eppure parlare: Elio lo fa, delicatamente, ancora una volta.
I dialoghi della pellicola sono misurati, le parole pesate e ognuna di esse rimane viva.
La colonna sonora di Sufjan Stevens, integrata da pezzi di musica classica e vecchie canzoni italiane, non è un sottofondo musicale, è personaggio, è fondamentale per il ruolo che ha assunto il film nell’immaginario collettivo. La delicatezza delle melodie, dei testi, sono complementari alla trama, sono come uno specchio interiore dell’anima di Elio, fino ad arrivare, con Mistery of Love, ad essere un carezza per provare a farci immaginare l’amore tra lui ed Oliver. Guadagnino è stato capace di ricreare il primo amore con una maestria incredibile, sia che lo spettatore lo abbia già vissuto, sia che lo debba ancora vivere, è impossibile che non venga trascinato nel vortice di emozioni e sensazioni del protagonista, che non senta quel desiderio di toccare l’altro, senza sapere come fare; se fare.
Parlare è meglio che morire quindi, anche il dolore va vissuto per non strappare via l’essenza di sé stessi: Chiamami col tuo nome è un’educazione sentimentale che serve ad ogni età e che ogni volta che si rivede lascia una nuova sensazione, una nuova emozione, un nuovo insegnamento.
10/07/2024