Sofia Coppola si contraddistingue ormai da più di vent'anni per via dei suoi film esteticamente perfetti in cui analizza e disseziona la femminilità. Tra i suoi titoli più conosciuti troviamo “Maria Antonietta” e “Il giardino delle vergini suicide” che , al tempo della loro uscita, divisero la critica in 2 fazioni nette: chi detestava la vuotezza dei dialoghi e vedeva soltanto la cura dell'estetica e chi invece notava quanto quei silenzi fossero in realtà carichi di significato. Questo stesso problema si è riproposto anche con l’uscita del suo ultimo film, “Priscilla” , presentato lo scorso settembre alla Mostra del cinema di Venezia dove Cailee Spaeny ha vinto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile.
“Priscilla”, tratto dall'autobiografia di Priscilla Presley intitolata "Elvis and Me", narra la storia della moglie del "Re del Rock". La trama comincia in Germania quando Priscilla (Cailee Spaeny), figlia quattordicenne di un generale dell'aviazione, conosce Elvis (Jacob Elordi), un ventitreenne già diventato celebre per la sua musica ed i suoi passi di danza rivoluzionari, e ci accompagna per tutta la loro storia d'amore fino al divorzio. Nel corso del film ci vengono mostrati tutti i lati più problematici della coppia; ci viene offerto un ritratto di Elvis molto diverso (e più credibile) rispetto a quello fatto qualche anno fa da Baz Luhrmann e vengono sottolineati maggiormente i comportamenti tossici nei confronti della moglie. Infatti un elemento fondamentale del film è proprio il potere soffocante che Elvis esercita sulla vita della protagonista. Scegliendo tutto ciò che indossa, costringendola a passare la maggior parte della sua gioventù in solitudine e portandola a drogarsi, la presenza del marito fa diventare Priscilla un personaggio secondario non solo nella vita degli altri, ma anche nella sua. Con questo personaggio la Coppola è riuscita a dipingere un ritratto magistrale di una donna che osserva passivamente la propria vita esser completamente rimodellata in base ai gusti ed alle necessità di un uomo. Tutto ciò viene trasmesso anche grazie ai dialoghi carichi di silenzi (un tratto distintivo della Coppola) che ci costringono a notare la solitudine e l’impotenza di Priscilla. La scrittura è uno dei punti più forti del film non solo per la costruzione dei personaggi, ma anche per la struttura molto particolare formata da vari segmenti che rendono la trama incredibilmente scorrevole. Alla base della narrazione non vi è solo un'eccellente sceneggiatura, ma anche un uso molto intelligente delle scenografie e dei costumi. Come la maggior parte delle opere della Coppola, "Priscilla" è un film esteticamente perfetto. Ogni elemento visivo viene utilizzato meticolosamente rendendolo parte integrante del racconto. Nel corso della storia Priscilla vive una profonda metamorfosi passando dall'essere un'adolescente ad essere una donna e, grazie all'uso pazzesco di trucco e costumi, si potrebbe quasi pensare che Cailee Spaeny sia effettivamente cresciuta durante le riprese. L'evoluzione dei costumi da un contributo enorme al film e la stessa cosa viene eseguita in parallelo con le scenografie. L'intima cameretta della vecchia casa in Germania e la fredda e claustrofobica Graceland sottolineano nuovamente la transizione dall'ingenuità adolescenziale alla maturità intrisa di solitudine vissuta dalla protagonista. Infine, non si può parlare di “Priscilla” senza commentare il casting eccezionale per i due attori protagonisti. Cailee Spaeny ci riporta una performance a dir poco spettacolare dimostrando una variabilità incredibile. Personalmente sono rimasta molto colpita dalla scelta di far interpretare Elvis a Jacob Elordi dato che, nonostante inizialmente non mi convincesse troppo, si è rivelato esser perfetto per il ruolo. Elordi è infatti riuscito a ritrarre Elvis in modo estremamente umano, a differenza di Austin Butler che invece aveva dato un forte tono caricaturale al personaggio.
Ma allora qual'è il vero problema di questo film? Il problema di "Priscilla" è proprio lo stesso che accomuna la maggior parte dei film di Sofia Coppola: la tematica ripetitiva. Il filo rosso che unisce tutta la sua filmografia è il concetto di solitudine e, per quanto lei lo possa affrontare in maniera formidabile, sta rendendo il suo repertorio estremamente monotono. Infatti il problema non è il tema in sé, ma il fatto che lo affronti sempre nello stesso modo; una donna (solo in "Somewhere" e “Lost in translation” si tratta di un uomo) bianca altolocata vive rinchiusa in una bolla che la aliena dal mondo esterno. Quindi che ha da dirci questo film? Cosa ci dice che non abbiamo già sentito in “Maria Antonietta” o negli altri film della medesima regista? Onestamente niente. Se preso singolarmente, può sembrare una pellicola dallo stile molto particolare, ma se si considerano le altre opere della sua filmografia ci si rende conto che è solo un copia e incolla di tutti i suoi altri film. Sofia Coppola sta esaurendo le sue idee? Stiamo assistendo al tramonto di una grande regista? Per fortuna, non possiamo ancora rispondere a queste domande, almeno non fino all'uscita del suo prossimo film…
22/05/2024