QUANDO L’ARTE SFIDA LA FEDE:IL QUADRO CHE SCONVOLSE DOSTOEVSKIJ
Federica Franceschiello
Federica Franceschiello
“Quel quadro! ... Osservando quel quadro c’è da perdere ogni fede”, così Dostoevskij si riferisce al dipinto “Cristo morto nella tomba” di Hans Holbein il giovane ne “L’idiota”. Come scrive Anna Grigorievna Dostoevskaya, la moglie dello scrittore russo, nel suo memoir, durante il loro viaggio per Ginevra , decidono di fermarsi a Basilea per vedere un quadro di cui il marito aveva sentito parlare. Quel quadro è proprio il Cristo morto di Holbein. Mentre negli altri quadri religiosi Cristo viene raffigurato in modo etereo, con un corpo perfetto e il viso sofferente, nel dipinto di Holbein il corpo del figlio di Dio viene rappresentato in modo crudo e realistico: in stato di putrefazione, ricoperto di ferite sanguinanti, il volto, le mani e i piedi sono blu, le braccia e le gambe scheletriche e le costole visibili. La bocca e gli occhi sono semiaperti e non esprimono alcun segno di vita, lo sguardo fisso nel vuoto. Holbein decide di ritrarre non la sua natura divina, ma quella umana, rappresenta un uomo appena tolto dalla croce, straziato; si pensa che il pittore abbia deciso di raffigurarlo in questo modo per suscitare i sensi di colpa nello spettatore. Anna Grigorievna spiega come il marito alla vista del dipinto sia rimasto stupito e sorpreso e di come lei non sia riuscita a rimanere in quella stanza perché “ era troppo doloroso per me, soprattutto per la mia situazione delicata” (infatti era incinta). La donna decide quindi di lasciare il marito da solo e visitare il resto del museo, ma dopo quindici o venti minuti, lo trova ancora nello stesso punto davanti al dipinto, con il volto agitato e impaurito, atteggiamento che aveva già notato durante una sua crisi epilettica. Infatti nel corso della sua vita lo scrittore ha sofferto di epilessia, la prima crisi avvenuta dopo la notizia della morte del padre, una malattia che lui stesso definisce la “sofferenza che purifica”, riproposta in molti dei suoi personaggi, come Myskin ne “L’idiota”. La moglie, preoccupata, lo prende gentilmente per il braccio, conducendolo in un’altra stanza e facendolo sedere: “Il dipinto fece un’impressione devastante a Fyodor Mikhailovich che rimase congelato”. Nonostante ciò, prima di lasciare il museo Dostoevskij decide di ripassare davanti al quadro un’ultima volta. Ma perché secondo Dostoevskij guardando quel dipinto si può perdere la fede? La visione del corpo di Cristo in decomposizione suscita una sensazione di tormento nello scrittore, la morte è vista come essere crudele e spietato a cui neanche il simbolo della salvezza, il re dei re , può fuggire. Non viene rappresentato idilliaco e trionfante, ma in modo spietato e realistico. Proprio questo sconvolge un uomo così religioso come Dostoevskij, che cerca di superare la scissione alienandosi dalle sofferenze del mondo, fuggendo dal dolore, trovando qualcosa all’infuori di sè, cercando la beatitudine ultraterrena che gli darà Dio. Dostoevskij nel corso della sua vita ha stretto un forte legame con la religione cristiana: nei suoi appunti scrive “Al mondo esiste un solo essere assolutamente bello: il Cristo”. Ma la sua bellezza si trova anche nel suo gesto sacrificale che Holbein, giocando sulla componente dell’orrido per suscitare terrore e orrore negli occhi dello spettatore, è riuscito a dipingere in modo disturbante.