“The importance of being idle” è un singolo del duo inglese Oasis estratto dall’album del 2005, intitolato “Don’t Believe The Truth”. Agli sgoccioli della loro carriera, sempre più minata da discordie e antipatie interne, i fratelli Gallagher rilasciano una potentissima canzone di disprezzo, di protesta e velatamente d’aiuto nei confronti di un sistema esasperante in cui si può trovare posto solo accodandosi alla lunghissima fila di lavoratori produttivi che, accecati dall'avidità e/o incalzati da un istinto di sopravvivenza, freneticamente marciano al ritmo comune scandito dal rullante.
Noel Gallagher esterna bene questa nausea, derivata dal senso di inadeguatezza rispetto a una società che lo obbliga “a vendere la sua anima” per pareggiare i debiti dell’affitto, che per bocca della sua ragazza lo addita come “pigro” e che lo esorta a spingersi al limite delle sue capacità umane; realizza infatti che “non può farsi una vita se non ci mette il cuore”. Dopo un attimo di riflessione, comprende che effettivamente a lui basta stendersi su un letto sotto la volta stellata, liquidando i suoi doveri con un laconico e indifferente “I don’t mind”.
In effetti, chi è che non vorrebbe vivere immerso nell’ozio più piacevole, libero finalmente dalle catene dei propri impegni sociali?
Attualmente si è abituati a giudicare la pigrizia come un tratto piuttosto negativo, vizioso, nel senso latino del termine piger, cioè lento, e quindi estremamente dannoso agli occhi del capitalismo occidentale e della rapidità ottimizzatrice che esso stesso sbandiera fieramente.
Concezione del tutto opposta a quella di culture già più lontane: è sufficiente muoversi nel continente africano per scoprire la filosofia del mora mora, l’equivalente italiano del Dolce far niente, ossia della lentezza benefica. Ma l’indolenza alla quale inneggia questa canzone ha radici ancora più antiche, affondate nell’a-ergos greco, cioè in quel concetto che designa l’assenza di lavoro (da notare la sua connotazione del tutto neutrale). È proprio sulla base di questa definizione che invece bisogna ricostruire il valore della pigrizia, intesa come scelta libera di sovversione al sistema.
Paradossalmente, essere pigri non significa abbandonarsi alla nullafacenza, crogiolarsi in un nichilismo stanco e quasi accidioso, bensì prendere posizione: scegliere di non prefissarsi obiettivi, di correre via da quella marcia logorante ritmata dal capitalismo e, insomma, di vivere al momento. Ecco, per l’appunto, vedere sbiadirsi l’esortazione oraziana: come si può cogliere l’attimo se si è sempre occupati a fare altro? Ognuno travolto dalla macchina incessante della routine, della fatica, degli obblighi, ma quanti veramente si fermano a compiacersi del prodotto del loro sforzo? Quanti effettivamente si godono il giro della ruota panoramica della vita senza aspettare impazientemente il momento di scendere, per ritornare letteralmente “con i piedi per terra”?
È quindi da premiare l’atteggiamento di chi non si conforma a quello che viene venduto come un “sano” stacanovismo, poi sempre finalizzato al mero profitto, non cadendo in questo circolo vizioso che illude l’uomo di potersi divertire per assurdo solo nel momento della vecchiaia, sognando la pensione in una meta esotica che, nella peggiore, ma anche più realistica, delle ipotesi neanche sarà in grado di raggiungere, ammuffendo nelle quattro mura di un appartamento in centro perché troppo affezionato all’idea della propria carriera. Qui l’individuo è preda di una romanticizzazione e di un’idealizzazione della fatica lavorativa, che, in chiave meritocratica, infonde una nostalgia per l’impressione di essere utile alla società.
Dunque, è ora di sopprimere quel senso di colpa ingiustificato innestato da un tossico senso del dovere, che ostacola la creatività e che porta con sé la noia. Quindi sì, rifiutiamo di inebetirci, di ammorbarci in un lavoro che non ci appartiene, ma prendiamoci un momento per contemplare la volta stellata dell’esistenza: facciamo esperienza di noi stessi, sviluppiamo l’immaginazione e godiamoci quei piccoli istanti di libertà, perché liberamente li abbiamo scelti e liberi ci rendono. Camminiamo a passo lento, seguendo lo scorrere pacato della vita, e, citando De André ne “Il Fannullone”, “Non si risenta la gente per bene se non mi adatto a portar le catene”.
04/01/2024